La partecipazione non può essere mantenuta se la gestione della società è antieconomica

Michele Nico 23/03/15
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La delibera n. 15/2015/PRSE della Corte dei Conti, sez. controllo per la Lombardia, prende le mosse dall’esame della relazione redatta, ai sensi dell’art. 1, comma 166, della legge 266/2005, dai revisori di un Comune e di una Provincia, entrambi soci di una società a partecipazione pubblica locale operante nel settore immobiliare, che presenta forti criticità gestionali.

La suddetta normativa ha introdotto significative modalità di verifica rispetto al Patto di stabilità interno e alla correttezza della gestione finanziaria degli Enti locali, attribuendo una specifica competenza in materia alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.

In tale contesto, la Sezione Lombardia esercita le relative funzioni di controllo e focalizza l’attenzione sui conti in rosso di una società partecipata che, pur disponendo di un cospicuo patrimonio costituito di aree a destinazione industriale, si trova in gravi difficoltà di cassa, a causa degli acquisti immobiliari e degli interventi di urbanizzazione intrapresi, ai quali non è poi seguita la correlativa vendita in tempi idonei, complice la grave crisi economica che, di fatto, ha provocato l’interruzione degli investimenti industriali in programma.

L’andamento gestionale negativo della partecipata è connotato da un forte indebitamento con il sistema bancario e da un conseguente aggravio di interessi passivi, il cui peso risulta difficilmente sostenibile dalla società.

Di qui la difficile situazione finanziaria ed economica di quest’ultima e le reiterate perdite d’esercizio, che inducono i revisori del Comune a sollecitare più volte l’Amministrazione locale, perché questa proceda alla dismissione della partecipazione, o all’adozione di misure volte al riequilibrio della gestione societaria.

Ravvisando le condizioni per il rilancio della società, l’Amministrazione comunale decide di prendere parte all’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale a copertura delle perdite e, contestualmente, un cospicuo aumento del capitale sociale.

Nel quadro di tali vicende, dunque, prende avvio l’istruttoria della magistratura contabile, che chiede chiarimenti al Comune in merito alle anomalie riscontrate nel rendiconto della società, raffrontando i dati delle perdite di esercizio con il valore della produzione.

Il Comune risponde confermando che le perdite riscontrate derivano prevalentemente dall’imputazione dei costi della produzione e da interessi bancari, e che le stesse non si sono potute evitare anche per la grave crisi economica che ha investito il Paese e, nello specifico, il settore immobiliare.

Sulla base degli elementi acquisiti, con la delibera de qua il collegio esegue un’accurata disamina della natura giuridica della società e del suo andamento gestionale, analizzando non solo le cause delle perdite d’esercizio, ma anche i doveri e le responsabilità degli Enti pubblici soci.

Nella pronuncia viene messa in luce oltretutto la mancanza di un’apposita valutazione, da parte del Comune, del pubblico interesse perseguito con l’impiego del modulo societario nelle specifiche circostanze date.

Tale carenza, osserva la Corte, assume particolare rilievo nel caso de quo, dacché “il dovere di equilibrio economico settoriale discende dal principio di legalità finanziaria che va a determinare il contenuto degli obblighi di diligenza cui sono tenuti gli amministratori e tutti gli organi sociali in base alle loro competenze”, per cui “la responsabilità dell’andamento societario va condivisa con l’Ente proprietario che, negli anni, non ha esercitato le sue prerogative in modo adeguato”.

Conclude la Sezione che “a fronte di una gestione indubbiamente diseconomica, si imporrebbe e si sarebbe imposta agli amministratori degli enti di riferimento una profonda riflessione circa l’opportunità di proseguire la partecipazione nella società interessata, ovvero la stessa partecipazione nell’ente societario”.

Di qui le perplessità della Sezione circa la ricapitalizzazione della società in siffatte condizioni, ove il Comune socio non ha esitato a incrementare la partecipazione pur a fronte di una situazione patrimoniale societaria già potenzialmente pregiudizievole, e sulla base di una generica motivazione, sostanziatasi nel possibile, futuro miglioramento del mercato immobiliare.

La Corte non indugia pertanto ad accertare le anomalie gestionali della società, e invita gli Enti di riferimento ad assumere idonee iniziative per ripristinare e mantenere gli equilibri di bilancio della società, ovvero, in alternativa, a dismettere la relativa partecipazione.

Questa indicazione della magistratura appare quanto mai attuale e coerente con il vigente panorama normativo, specie dopo che la legge di stabilità 2015 ha introdotto l’obbligo per gli Enti di attivare un programma di razionalizzazione delle partecipate (art. 1, comma 611) con l’obiettivo di attuare una drastica riduzione del loro numero, all’insegna del principio di sana gestione per cui lo strumento societario può essere impiegato dalla PA, ma soltanto in presenza di un’adeguata remunerazione del capitale investito.

Michele Nico

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