Gli eredi rispondono pro quota dei debiti tributari del contribuente defunto

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Con sentenza n. 22426 del 2 luglio 2014, depositata il 22 ottobre 2014, la sezione tributaria (sezione V civile) della Corte di Cassazione ha riaffermato il principio secondo cui i debiti tributari del contribuente defunto (nel caso di specie imposta di registro) devono essere ripartiti tra gli eredi pro quota, salvo che il de cuius non abbia disposto diversamente.

Si tratta, come noto, della regola comune stabilita dagli artt. 752, 754 e 1295 del Codice Civile, applicabile nei casi in cui, come quello in esame, non esista alcuna norma che preveda la responsabilità solidale degli eredi del contribuente defunto (conforme, Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenze n. 21982 del 25 settembre 2013 e n. 780 del 14 gennaio 2011; Comm. Trib. Reg. di Roma, sentenza n. 2957/35/14; Comm. Trib. Reg. di Bari, sentenza n. 5/02/09). I giudici di legittimità hanno così accolto il ricorso di una coerede che era stata raggiunta da una cartella di pagamento emessa a seguito di una sentenza, passata in giudicato e quindi divenuta definitiva per mancata impugnazione, che aveva respinto il ricorso proposto dal genitore defunto contro un avviso di liquidazione e irrogazione di sanzioni. Con tale avviso l’ufficio aveva preteso di recuperare una maggiore imposta di registro.

I giudici tributari di merito (Comm. Trib. Reg. di Roma, sezione staccata di Latina, e Comm. Trib. Prov. di Latina), nel rigettare le doglianze sollevate dalla contribuente, avevano ritenuto che la cartella di pagamento oggetto di impugnazione fosse legittima e fondata. Più precisamente la Commissione regionale, nel respingere l’appello, ha ritenuto fra l’altro che gli eredi soggiacciono alla responsabilità solidale del debito del contribuente defunto. Con diverse censure la contribuente ha rimesso la questione nelle mani dei giudici del Palazzaccio che, nel merito, hanno accolto il ricorso perché fondato.

In particolare la ricorrente ha insistito sui vizi di falsa applicazione dell’art. 65 D.P.R. n. 600/1973 e di violazione e falsa applicazione degli artt. 752, 754 e 1295 del Codice Civile. Secondo la tesi della contribuente, infatti, non trattandosi né di imposta di successione né di imposte dirette, bensì di debito ereditario conseguente al recupero nei confronti del genitore defunto di una maggiore imposta di registro, il Collegio regionale avrebbe errato a statuire che del debito fiscale oggetto della cartella di pagamento fossero solidalmente responsabili tutti gli eredi e non invece che gli stessi fossero responsabili soltanto pro quota in virtù dell’ordinaria regola stabilita dal Codice Civile. I giudici “con l’ermellino”, nel rafforzare il proprio precedente indirizzo, hanno condiviso la censura della ricorrente affermando espressamente che, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, deve essere applicata la regola comune della ripartizione dei debiti ereditari pro quota sancita dagli artt. 752 e 1295 del Codice Civile. Questo perché – così gli Ermellini – al caso di specie non sono applicabili le regole speciali della solidarietà di cui al citato art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, all’art. 36 del D.Lgs. n. 346/1990 (TUS) e all’art. 57 del D.P.R. n. 131/1986 (TUR). Si tratta, come noto, di norme tributarie che, nella profonda sostanza, non possono essere applicate al caso in questione. E valga il vero.

La regola prevista dall’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973 si applica ai debiti contratti dal contribuente defunto, ma con riferimento al mancato pagamento delle imposte sui redditi (IRPEF ed IRES). La regola stabilita dall’art. 36 del TUS opera per il pagamento dell’imposta di successione, mentre quella disciplinata dall’art. 57 del TUR, pur riguardando l’imposta di registro, non si applica agli eredi del contribuente defunto. Sicché, come riconosciuto esplicitamente dai giudici di piazza Cavour nella sentenza in rassegna, tra gli eredi v’è soltanto l’esistenza di obbligazioni parziarie, ai sensi degli artt. 752, 754 e 1295 del Codice Civile. In tale ottica è utile rimarcare il principio, stabilmente enunciato dalla Corte di Cassazione (per tutte, sezione terza civile, sentenza n. 8405 del 10 aprile 2014), in base al quale l’art. 754, secondo cui gli eredi rispondono dei debiti del de cuius, in relazione al valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, deve essere interpretato nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore questa sua condizione di coobbligato passivo, entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell’istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consentirebbe al creditore di chiedere legittimamente il pagamento della somma integrale. Naturalmente nessuna pretesa può essere esercitata nei confronti del soggetto privo della qualità di erede, cioè del soggetto che abbia espressamente rinunciato all’eredità. Né lo status di erede sia diversamente acquisibile in ragione di atti e fatti che non siano inequivocabilmente espressivi di accettazione tacita dell’eredità (art. 476 del Codice Civile). Al riguardo si segnala la recente sentenza n. 2100/35/14 con la quale la Comm. Trib. Reg. di Bari, sezione staccata di Lecce, ha ritenuto che non rientrano le circostanze che alcuni soggetti possano aver presentato la denuncia di successione o la dichiarazione dei redditi (modello Unico o modello 730) del contribuente defunto. Tali adempimenti fiscali, al pari della richiesta di registrazione dell’eventuale testamento, non sarebbero idonei a manifestare in modo certo l’intenzione univoca di assumere la qualità di erede.

Infine, nell’economia del discorso, non possiamo fare a meno di ricordare che la notifica di un avviso di accertamento o di liquidazione intestato al contribuente defunto ed effettuata direttamente nei confronti degli eredi presso il loro indirizzo è da ritenersi insanabilmente nulla, giacché, in difetto della comunicazione prevista dall’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, gli atti intestati al dante causa possono essere notificati nell’ultimo domicilio dello stesso, ma devono essere diretti agli eredi collettivamente e impersonalmente. Infatti, secondo il consolidato orientamento della sezione tributaria della Corte di Cassazione, l’inosservanza di tale procedimento notificatorio, incidendo sul rapporto tributario perché relativo a un soggetto non più esistente (contribuente defunto), implica la nullità insanabile della notifica e quindi dell’avviso di accertamento o di liquidazione (fra le ultime, sentenza n. 26718 del 29 novembre 2013).

Antonio Piccolo

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