Taglio delle società pubbliche, dietrofront del governo

Michele Nico 06/11/14
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Scusate, era soltanto uno scherzo di cattivo gusto.

Dopo un primo sussulto, gli Enti territoriali soci di organismi partecipati possono ora dormire sonni tranquilli, visto che le indicazioni fornite dal piano Cottarelli per “ridurre le ex-munipalizzate da 8.000 a 1.000, come in Francia” – secondo l’ardita promessa fatta dal nostro premier lo scorso aprile – resteranno custodite nel cassetto di qualche scrivania ministeriale, in attesa di tempi migliori, se mai arriveranno.

Nella versione originaria dell’art. 43 del disegno di legge relativo alla “legge di stabilità 2015”, i primi 4 commi stabilivano un crono-programma di scadenze stringenti (dal 1 gennaio 2015 al 31 marzo 2016) che segnava il percorso operativo obbligato con cui le Amministrazioni locali avrebbero dovuto attuare – sotto la stretta sorveglianza della Corte dei conti – un processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie dirette e indirette, in modo da conseguire una riduzione strutturale degli asset entro il 31 dicembre 2015, tenuto conto dei criteri individuati dal Piano Cottarelli del 7 agosto scorso (eliminazione delle “scatole vuote” e delle società non necessarie, processi di aggregazione tra soggetti che svolgono attività similari, contenimento dei costi di funzionamento, riorganizzazione della governance societaria, ecc.).

Nell’edizione riveduta e corretta della norma licenziata per l’esame del Parlamento, i 4 commi del disposto sono però inspiegabilmente spariti.

È curioso che, a proposito dell’art. 43, la relazione contenuta nel disegno di legge continui a sostenere che “la disposizione si inserisce nel quadro delle previsioni di cui all’articolo 23 del decreto legge 24 aprile 204, n. 66, da cui ha avuto luogo il rapporto Cottarelli recante “programma di razionalizzazione delle partecipate locali”, presentato il 7 agosto 2014. Il suddetto rapporto ha evidenziato, da un lato, che il fenomeno delle società partecipate dalle amministrazioni locali ha raggiunto numeri molto elevati, con circa 7700 società di dimensioni talvolta assai ridotte e operanti spesso in perdita, con effetti negativi sia per il bilancio delle amministrazioni proprietarie che per la collettività che usufruisce di servizi inefficienti”.

Fatto sta che la norma in questione, nella versione attuale, è stata però drasticamente depotenziata rispetto agli importanti obiettivi strategici che avrebbe dovuto garantire.

Il testo odierno dell’art. 43 si limita ora a incentivare le aggregazioni tra soggetti operanti nei servizi pubblici locali a rilevanza economica al fine di rilanciare gli investimenti, rafforzando l’obbligo per gli Enti locali di partecipare agli organi di governo degli ambiti territoriali ottimali.

La disposizione, inoltre, detta l’esclusione dai vincoli del patto di stabilità delle spese per investimenti degli Enti locali che procedano a dismissioni totali o parziali delle proprie partecipate, ma – sia ben chiaro – su base volontaria, non più obbligata e cogente.

La stessa Corte dei conti, Sez. riunite in sede di controllo, nell’audizione del 3 novembre 2014 sul disegno di legge di stabilità 2015, osserva che la razionalizzazione delle società partecipate “è argomento di primaria attenzione sul processo di revisione della spesa pubblica, essendo evidenti le esigenze di un profondo riordino in un settore ad alto rischio per gli equilibri della finanza pubblica e con ampi margini di efficientamento”.

Rispetto all’art. 43, tuttavia, la Corte non può fare a meno di rilevare che “il disegno di legge di stabilità si limita, però, soltanto a dettare disposizioni che disciplinano il percorso di adesione agli ambiti territoriali ottimali (ATO) e l’affidamento e gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica a rete, integrando e modificando quanto già previsto dall’art. 3-bis del DL 138/2011”.

Ora il legislatore ha un’ultima chance per intervenire nella spinosa materia, ossia in sede di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, il cui disegno di legge (AS 1577) presentato dal Governo prevede una specifica delega afferente il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali (art. 15).

È chiaro, tuttavia, che se la legge di stabilità 2015 era la sede deputata alla messa in atto delle indicazioni contenute nel piano Cottarelli, si tratta ancora una volta di un’occasione persa per mettere mano alla razionalizzazione delle partecipate, mediante interventi necessari per dare corso a una seria spending review, ma evidentemente troppo difficili da attuare assicurando, nel contempo, la continuità dei servizi pubblici e la salvaguardia dell’occupazione lavorativa.

Michele Nico

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