L’Imu si paga anche dopo il 2015 ma ecco come può cambiare

Redazione 26/04/13
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Il neo premier Enrico Letta ha già una patata bollente fra le mani: l’Imu. L’imposta municipale unica è forse la tassa che gli italiani, insieme alla Tares, tollerano meno ed è anche la tassa su cui Pd e Pdl hanno insistito maggiormente in campagna elettorale per strappare i consensi più ampi possibili. Se il Pdl crede ancora ad una utopica abolizione e restituzione, provvedimento che tra 2013 e 2014 costerebbe qualcosa come 12 miliardi allo Stato, il Pd ragiona su basi più concrete proponendo esenzioni per chi ha pagato fino a 500 euro e aumentando la tassa sulle case di lusso.

Anche la proposta del Pd, tuttavia, seppur meno incisiva sulle casse dello stato, costerebbe circa 2,5 – 3 miliardi, risulta difficilmente applicabile perché l’Imu, che già di per sé è una imposta fortemente progressiva e quindi con pochi margini di miglioramento o redistribuzione, a coloro che è costata più di 600 euro, quindi il 6% della popolazione che però ha contribuito al 30% dell’intero ammontare, triplicherebbe.

La cosa certa però è che una tassa da rivedere, da ripensare e da ricalibrare, su questo sono d’accordo tutte le forze politiche, non solo Pd e Pdl ma anche quella Scelta Civica di Mario Monti che di fatto è l’architetto della tassa attuale per come la conosciamo (si ricorda che l’Imu originale è un provvedimento del governo Berlusconi). Altrettanto sicuro sembra che la via più plausibile da percorrere sia quella che prevede il raddoppiamento delle detrazioni per figli e pensionati, un provvedimento gradito a tutti ma che difficilmente sposterebbe l’ago della bilancia fiscale.

La tassa, che da quest’anno va integralmente nelle tasche dei Comuni, eccetto per le quote di impianti industriali e i capannoni ancora ad appannaggio dello Stato, non può essere abolita del tutto perché getterebbe  gli enti locali nella miseria e questo comporterebbe un istantaneo taglio dei servizi con tutti i disagi che da questa scelta obbligata deriverebbero. In questa logica pesa notevolmente anche la Tares, la nuova tassa sui rifiuti, che essendo molto più cara delle precedenti Tarsu e Tia va a finanziare i servizi indivisibili dei comuni che vengono coperti proprio grazie anche agli introiti Imu.

Quindi abolire l’Imu sulla prima casa vorrebbe dire che i nostri centri abitati restino senza illuminazione artificiale, che non ci sia il servizio di smaltimento rifiuti, che gli asili non possano aprire, insomma una serie di disagi che rischiano di paralizzare l’intera cittadinanza. Gli enti locali, dal canto loro, hanno già individuato una forma di cauzione per preservarsi eventualmente da spiacevoli sorprese; infatti molti municipi hanno optato  per un possibile aumento delle addizionali Irpef che pesano direttamente sulla busta paga.

L’Imu quindi resta una matassa piuttosto complicata da sbrogliare perché non solo per sbrogliarla bisogna fare i conti anche 3,8 miliardi di coperture che richiederebbe la neutralizzazione della Tares e dell’aumento dell’Iva (scatta fra 66 giorni) ma anche con il decreto sugli enti locali varato dal Governo Monti a fine 2012 che impone ai sindaci con i conti in dissesto o in pre – dissesto di incrementare al massimo le aliquote dell’Imu e delle addizionali Irpef.

Secondo le stime effettuate dalla Uil Servizio Politiche territoriali sono circa 1.200 i Comuni che sono nella condizione di dover ricorrere ad un aumento obbligato delle aliquote per entrambe le imposte e tra questi ci sono i grandi centri come Roma, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Frosinone. Domenica, dopo che il premier Letta avrà il quadro definitivo della situazione finanziaria del paese si saprà con maggior certezza quale sarà lo spazio di manovra per la riduzione dell’Imu.

Redazione

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