Decreto Sviluppo: l’eterno precariato degli operatori di call center

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Il decreto Sviluppo è stato approvato settimana scorsa, ci sono voluti ben 32 voti di fiducia, ma alla fine è stato approvato. Alla soddisfazione degli addetti ai lavori – il primo è il progenitore del decreto Corrado Passera – non corrisponde la soddisfazione di chi al lavoro è addetto; nello specifico gli operatori di call center hanno tutti i motivi per essere profondamente scontenti.

E’ stato introdotto un emendamento, infatti, all’interno del decreto, per la precisione un comma, il settimo dell’articolo 24 bis, nel quale si stabilisce, in buona sostanza, che chi si occupa di “attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzata attraverso call center outbound”, vale a dire al telefono, può lavorare col contratto a progetto fino alla fine dei propri giorni. In parole povere, la precarietà sarà una compagna di viaggio fedele e dalla quale non ci si libererà mai.

Governo e Parlamento, dunque, hanno varato una legge che prevede per chi opera all’interno dei call center una condizione di minorità che fa sì che, di fatto, sia lasciato alle volontà del datore che lo assume che, ovviamente, cercando di rendersi competitivo sul mercato andrà ad intaccare quel parametro che per primo risente dell’aumento di competitività, il costo del lavoro. Tutto questo, a Montecitorio, è passato però praticamente sotto silenzio, eccezion fatta per un solo deputato che si è alzato per esprimere il proprio dissenso “questa norma che consente di non stabilizzare i lavoratori dei call center è inaccettabile”, ha affermato in aula Giacomo Portas, deputato indipendente nel Pd, che in Piemonte è leader di un suo movimento chiamato “I Moderati”  arrivato al 9,6 per cento alle ultime comunali.

La cosa quasi paradossale è che Portas nella vita è un manager proprio nel settore dei call center “qualcuno – sostiene il deputato – mi ha detto che il mio è stato finora l’unico conflitto di disinteresse della legislatura, ma voglio essere chiaro: non sono un santo, mi piace guadagnare, ma nell’azienda che ho contribuito a fondare, di cui sono stato socio per anni e con cui ora continuo a collaborare, di co.co.pro. non ne abbiamo fatti in 12 anni e non li faremo mai”. La società a cui fa riferimento Portas è la Contacta che vanta numerose sedi in Italia e 2.200 dipendenti che sono “tutti assunti col contratto nazionale delle telecomunicazioni: rispetto alla proposta del governo, per capirci, si passa da 8-9 euro l’ora a 20”.

Dunque, Portas il moderato, risulta essere più acceso degli stessi sindacalisti dimostrandosi più a sinistra di quanto quella dicitura “i moderati” non lasciasse trasparire. “Si parla tanto di crescita e io dico che ci sono 2 miliardi di fatturato libero per l’Europa in questo settore che potremmo portare in Italia creando lavoro vero”. Lavoro vero? Forse una volta perché con questa norma non lo è più, anzi ha il negativo effetto di tenere le aziende del settore nel sottosviluppo; “così non si contribuisce a fare dei call center una moderna industria dei servizi, in cui fai l’outbound, ma anche la ricerca, l’inserimento dati, il marketing: per noi, per dire, l’attività di call center nel senso stretto è il 25-30% del fatturato”.

Secondo il deputato piemontese, sul mercato è possibile “fare margine anche rispettando i diritti delle persone, basta puntare sulla formazione e sulla qualità di gente che non è facilmente sostituibile: avere lavoratori preparati ti fa trovare commesse migliori, pagate meglio. Faccio un esempio: noi curiamo l’on line di Chebanca!, gruppo Mediobanca, e prima di iniziare i nostri hanno dovuto fare tre mesi di corso: non è che li puoi sostituire da un giorno all’altro. E poi noi lavoriamo in Germania, in Finlandia, un po’ dovunque in Europa: per garantire un servizio in 12 lingue devi avere gente preparata, mica la puoi tenere alla fame”. Come spesso accade in Italia i nomi delle cose, le diciture burocratiche assumono risvolti ironici e tragici, dunque Decreto Sviluppo, sì, ma per chi?

Alessandro Camillini

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