Le scuole siciliane assegnano un posto d’onore alla parlata cafona

Angela Bruno 20/05/11
Scarica PDF Stampa
Il 18 maggio l’Assemblea regionale siciliana ha approvato, all’unanimità, il disegno di legge che prevede l’insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliana nelle scuole.

Sembra di assistere ad una promessa d’amore fatta alla propria terra, dopo avergli fottuto l’identità e la vita.

Passi pure lo sdegno di sentire Bruto commemorare Cesare, ma rimane un triste presentimento: il buon proposito fa pensare a progetti cantierati in fretta, sotto lo stimolo delle consultazioni elettorali.

Spero di sbagliare, ma sospetto intenti meramente divulgativi.

I fatti, solo quelli, potranno dirci da che parte sta la ragione.

In ogni caso, sarebbe bello vedere la lingua cafona sedere un posto d’onore e le maestre affannarsi a togliere le polveri delle stratificazioni storiche, per far emergere, con un nuovo impulso, l’anima di un popolo.

Una grande rivincita sarebbe, poi, vedere il loro volto impallidire di fronte ai testi di grammatica, di fonologia, di morfosintassi, tutti zeppi di riferimenti etimologici e diacronici.

Insomma, tutti convinti, come De Tarde, che “la lingua è, per così dire, lo spazio sociale delle idee“.

Mi piacerebbe davvero, ma a condizione che non si ripetano gli errori del passato: non ritengo giusto bacchettare l’alunno se, alle prese con la nuova lingua, si lasci scappare qualche parola in italiano!

Io non la penso come quelli, illustri intellettuali siciliani, che avversano l’insegnamento del dialetto nelle scuole.

Anzi, credo che l’apprendimento contestuale dell’italiano e del siciliano non crei dissonanze, ma consenta di meglio comprendere l’ampiezza e il valore profondo del fenomeno linguistico.

In tanti si chiedono se oggi, con gli enormi problemi che la Patria sta vivendo, sia il caso di divagare su questioni di meno conto.

Ma oggi, più che mai, per pensare al futuro, si ha bisogno di ripassare la storia.

Per rimediare al gran vuoto, tra passato e presente, che la falsa modernità ha creato, bisogna ricominciare dal passato, da dove ci eravamo lasciati.

Il vero problema, però, è un altro: il legislatore siciliano ha pensato prima di parlare?

Si è preoccupato del metodo e della formazione degli insegnanti?

Ha verificato se i testi a disposizione siano idonei a diffondere criteri uniformi d’insegnamento?

Per usare il linguaggio giuridico, ci sono gli atti presupposti?

A me pare  che manchino tutti quei passaggi, di stretta presupposizione, a cui il disegno di legge, per essere credibile, dovrebbe essere legato.


[foto d’archivio di Walter Lo Cascio di Caltanissetta, qui l’album su Fickr]

Angela Bruno

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento