Una piaga che si chiama amianto

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E’ sempre così.

Si parte da sogni di gloria, da proclamazioni di vittoria sul fuoco (ve li ricordate le fantascientifiche tute di amianto per entrare nei vulcani?), da scoperte tecnologiche in grado di sfidare il mondo intero e la natura più crudele, e ci si ritrova a raccogliere le macerie della propria arroganza scientifica.

Nel nostro caso, le macerie hanno gambe, volti, braccia, occhi. Montagne di cumuli di corpi uccisi dall’asbestosi e dal mesioteloma, e flotte di anime ancora viventi in attesa che un nuovo antidoto del progresso possa trovare la formula per salvarle da una morte sicura e tra le più atroci.

E’ questo il bilancio agghiacciante. Terribile ma sfacciatamente realistico.

Un’Italia invasa da quello che oggi viene ribattezzato l’amianto killer.

Paesi, città, fabbriche, acquedotti, ed ancora, ancora, ancora, sin nelle più recondite rughe del nostro territorio: dal comignolo di campagna che profuma di pasta e fagioli in mezzo alle tegole di eternit, alle catene di montaggio dove migliaia di operai sono costretti a lavorare con la scure del diavolo che gli pende sulla testa.

Sono numeri e statistiche ufficiali: 23 milioni di tonnellate ancora da smaltire; 3000 morti all’anno. All’incirca. Per difetto.

Il problema non è parlarne. Il web è stracolmo di notizie riguardanti morti di operai, processi a carico di amministratori aziendali, sequestri di cantieri, richieste risarcitorie per malattie professionali o per decessi causati dall’esposizione continuata all’amianto.

Il panorama mediatico è talmente ricco di notizie agghiaccianti sui lavoratori che hanno convissuto con l’amianto che non intendiamo aggiungere una sola altra pagina di commento alla morte.

Peraltro, paradossalmente, oggi i più tutelati contro l’amianto sono proprio i lavoratori, le vittime storiche e predeterminate del nostro benessere industriale.

Quello dei lavoratori è, per fortuna, un nucleo chiuso maggiormente controllabile, un settore tendenzialmente blindato che ha preso realmente coscienza dei danni corsi e da potere correre per il futuro. I fatti nuovi vengono denunciati, segnalati, incapsulati nel cerchio delle rivendicazioni sindacali e delle rappresentanze dei lavoratori. I fatti vecchi vengono puniti. Il mondo dei lavoratori dell’amianto (vivaddio) sta iniziando ad affilare i coltelli contro chi tenta di ucciderli. E si sta attrezzando di conseguenza.

Chi, invece, è rimasta paurosamente sola ed inerte di fronte al rischio amianto è la società civile, i comuni cittadini, i milioni e milioni di persone obbligati a respirare un materiale mortale sparso per le strade e per le case, e costretti ad affidare la loro vita e quella dei loro figli nelle mani dei pubblici amministratori che dovrebbero liberarci dal killer.

Ma cosa dovrebbero fare, alla fine, questi paladini della nostra incolumità fisica? E cosa hanno fatto sino ad oggi? E come li possiamo punire se non ci hanno tutelato come avrebbero dovuto?

Risale al 27 marzo 1992 la legge n. 257 che dispose la cessazione dell’impiego dell’amianto, la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate, la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi, la riconversione produttiva, il controllo sull’inquinamento, etc. etc. etc. etc. Il tutto da doversi fare entro 180 giorni dalla data di promulgazione della legge.

Dettato normativo importantissimo dal punto di vista dei principi generali.

Ma, sapete quali sono le pene previste dalla 257 per la mancata adozione delle misure idonee a garantire il rispetto dei valori limiti o per l’inosservanza degli obblighi concernenti le relative misure di sicurezza?

Sanzioni amministrative pecuniarie!

Come dire: un tentato omicidio al prezzo di una autovettura, più o meno di grossa cilindrata.

Censure comunque inutili posto che di concreta applicazione di pene non se ne parla proprio …..

Successivamente al 1992, il legislatore ha emanato decine di altre leggi e decreti intermedi, ed ha nominato commissioni tecniche e scientifiche del più vario tipo. Il tutto, manco a dirlo, con generoso uso ed abuso di denaro pubblico.

Bene, a distanza di nove anni da quella prima normativa, l’art. 20 della L. n. 93 del 2001 continua a parlarci di “censimento dell’amianto”, quasi fossimo all’inizio della storia.

Perfettamente in regola con questi tempi “legislativi” l’attività di quei Comuni che – bada bene i più attenti e solertinel 2011 stanno ancora continuando a fare il censimento.

Per la bonifica c’è tempo. Tanto, quasi tutti se ne… bip.

Ed il ciclopico T.U. sull’Ambiente n. 152 del 3 aprile 2006 ?

Pene contravvenzionali. Bassissima applicazione.

Per ciò che poi riguarda i presunti soggetti colpevoli, è interessante constatare che il T.U. del 2006 si preoccupa quasi esclusivamente degli operatori commerciali.

Come se i danni fossero provocati solo dall’aziende addette allo smaltimento dei rifiuti o dalle società che tengono quattro lastre di eternit qualche mese in più del dovuto.

I nostri “angeli custodi”, quei diligenti Pubblici Amministratori che dovrebbero vigilare ed intervenire sull’effettiva ed integrale defenestrazione dell’amianto, sono genericamente inseriti nel calderone dei “chiunque”.

I chiunque che neanche il blando art. 328 del codice penale – omissione di atti di ufficio – riesce tecnicamente a raggiungere ed a punire per come sarebbe moralmente auspicabile: evanescente l’atto da compiere in inderogabile emergenza, insussistente la risposta da dare ad un privato cittadino direttamente interessato.

Per un attentato alla vita proveniente da fatti ambientali o da pericolo di morte generato da sostanze nocive, cancerogene e mortali, è come se nei confronti dei pubblici amministratori dovesse operare una sorta di generalizzata impunità, di diritto e di stato.

La sordità al pericolo proveniente da una natura rimaneggiata dall’uomo – l’amianto solo uno dei tanti – al massimo sembra essere meritevole di un posto nel girone dantesco degli ignavi.

….e fu così che la vera punizione ricadde per intero sul povero Alighieri, ormai avvilito dal non riuscire più a trovare uno straccio di strapuntino nel girone.

Fatica ladra per infilarli tutti dentro! E qualcuno parla di una fila di attesa lunga più di sette chilometri ….

All’incirca quella delle vittime dell’ “amianto” in lista di attesa nei reparti di oncologia.…

Franzina Bilardo

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