Reti Televisive Italiane e Break Media: chiarezza sulle responsabilità

Redazione 03/05/16
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Il Tribunale di Roma ha accolto le domande di RTI contro la piattaforma digitale americana “Break” (http://www.break.com/), condannando la stessa la pagamento di Euro 115.000,00 per il risarcimento dei danni subiti a causa della abusiva diffusione di 48 video estratti dai programmi di RTI (con durata complessiva di 77 minuti), oltre al pagamento delle spese di lite (per oltre Euro 20.000,00).

Il Tribunale ha inoltre fissato una penale di Euro 1.000,00 per ogni futura violazione e per ogni giorno di permanenza e disposto la pubblicazione del dispositivo della sentenza per due giorni consecutivi su “IlSole24ore” e il “Corriere della Sera” nonché nella homepage del portale Break.com.

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La sentenza pone dei principi fondamentali:

  1. Responsabilità del provider

Il Tribunale esclude che Break sia riconducibile alla figura di hosting provider delineata dall’art. 16 D. Lgs. 70/2003 (corrispondente all’art. 14 direttiva 2000/31), atteso che: (i) il provider in questione è “una moderna impresa globale”, un “aggregatore” che organizza e mette a disposizione degli utenti contenuti audiovisivi provenienti da diverse fonti; (ii) i contenuti non sono “casualmente immessi dagli utenti ma catalogati ed organizzati in specifiche categorie”; (iii) esiste un “intervento diretto anche nei contenuti”; (iv) la possibilità di scegliere, all’interno del programma, la parte che interessa collegandola ai “video correlati”; (v) esistono dei “termini di servizio” che vietano il caricamento di contenuti lesivi dei diritti d’autore altrui e che prevedono specifiche modalità di denuncia di tali contenuti; (vi) il modello di business attribuisce ai contenuti “un ruolo determinante per il successo pubblicitario e di conseguenza economico” dell’attività di Break.

Vi sono ulteriori elementi che fanno di Break un “sofisticato content provider” (in altri punti definito “hosting attivo”) in quanto essa “seleziona i contenuti mettendoli nella home page della categoria” e “dispone di un editorial team”.

Conclusione: “è evidente l’inapplicabilità in relazione a questa attività dell’art. 16 cit. […] ed invece la conseguente responsabilità in base alle norme comuni. Ciò in armonia con la giurisprudenza ormai consolidata italiana e comunitaria che ha delineato il ruolo attivo dell’ISP [laddove esista] “un pur minimo contributo all’editing del materiale sulla rete lesivo di interessi tutelati”.

  1. La “conoscenza effettiva” dell’illecito da parte del provider

La conoscenza, acquisita “in qualsiasi modo”, della illiceità dei dati fa sorgere la responsabilità civile e risarcitoria dell’ISP.

Perché la conoscenza sia “effettiva” è sufficiente un’indicazione specifica della denominazione dei programmi, tramite diffida o altro mezzo. Nella fattispecie il dies a quo deve partire dalle diffide inviate ante causam per i soli programmi ivi indicati specificamente (“grande fratello”, “striscia la notizia” e “zelig”) e dall’atto di citazione per tutti gli altri; non essendo idonea invece la indicazione generica di “tutti i programmi di RTI”.

Rileva inoltre il fatto che nella fattispecie: (i) trattasi di programmi noti e di successo facilmente individuabili; (ii) oltre che inconfondibilmente riconoscibili per la presenza su tutti del logo delle emittenti.

Conclusione: tutti questi elementi avrebbero dovuto “sollecitare la necessaria attività di verifica e controllo” di Break, “peraltro con gli stessi strumenti informatici utilizzati dagli utenti per la ricerca delle trasmissioni attraverso le parole chiave ed i sistemi” messi a disposizione dalla stessa Break.

  1. La tesi della necessità della specifica indicazione di ogni URL è quindi ormai “insostenibile”

Questo perché oltre a rendere difficile e quasi impossibile ottenere la tutela invocata, è “in contrasto con tutte le direttive europee e le sentenze della Corte di giustizia che, pur affermando l’insussistenza di un obbligo generale di sorveglianza, mai hanno considerato la necessità della specifica e tecnica indicazione degli URL”.

Gli Url “non sono i contenuti ma la loro localizzazione, luoghi ove vengono caricati i video e non i files illeciti” […] Richiedere addirittura la necessità di fornire gli URL significa dunque disapplicare la normativa e la consolidata giurisprudenza europea sul diritto d’autore e vanificarne la tutela, proprio in contrasto con le direttive europee che peraltro vengono in tali decisioni citate come riferimento, dimenticando che si tratta di direttive informate e derivate dal c.d. enforcement (2004/48/CE) che sicuramente non sta ad indicare un indebolimento della tutela ma l’esatto contrario, essendo infatti indirizzata nel suo obiettivo a garantire un alto livello di protezione dei diritti d’autore”.

  1. Risarcimento del danno

Per la quantificazione del danno trova applicazione il criterio di stima del c.d. “prezzo del consenso”. Esso va determinato “in riferimento al modello di business adottato dal titolare del diritto per stabilire quanto sarebbe stato disposto ad accettare per concederne l’uso”; tale valore è influenzato dal c.d. “controllo editoriale” e quindi dalla capacità del titolare di regolare l’utilizzazione e le modalità di sfruttamento dell’opera”. Rilevano nella fattispecie: (i) l’epoca delle violazioni in relazione all’attività delle parti; (ii) le modalità di utilizzazione dei contenuti “pregiati” in questione, che si rivolgevano ad un pubblico giovane ed interessato all’intrattenimento; (iii) il fatto che la stessa Break ha dichiarato di pagare 400 dollari per acquistare un video di tre minuti nel 2008; (iv) la correttezza quindi di una valorizzazione per minuto di emesso; (v) la valorizzazione dei contenuti in internet dovrebbe prevedere un compenso fisso (corrispettivo una tantum) ed uno variabile, in rapporto al successo pubblicitario.

Del risarcimento fanno parte anche “le spese sostenute dal titolare dei diritti per l’accertamento delle violazioni”.

 

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