La cessione del Contratto di Locazione ad uso commerciale: aspetti problematici e possibili soluzioni

Antonio Arseni 10/12/15
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Una recente ordinanza della Cassazione n° 23111 pubblicata il 13/11/2015, ha riproposto all’attenzione degli “operatori del diritto” il tema della cessione del contratto di locazione commerciale, non innovando per la verità ai più recenti precedenti conformi, ma non pacifici, ai quali è stata data consapevole continuità.

Dunque, un ricorrente assumeva la inoperatività dell’art. 36 L. 392/78 in quanto il contratto, risalente al 1994, si era tacitamente rinnovato, con la conseguenza che il cedente del negozio di locazione non poteva essere chiamato a rispondere del pagamento dei canoni , delle indennità di occupazione ex art. 1591 CC e delle spese nei confronti del contraente ceduto, in quanto l’inadempimento si era manifestato dopo 12 anni (6+6).

Era, infatti, accaduto che Tizio aveva concesso in locazione nel 1994 un proprio immobile a Caio, il quale, a sua volta, l’aveva ceduto ex art. 36 L. 392/78 a Sempronio.

Ottenuto sfratto per morosità nei confronti di Sempronio, cessionario ed effettivo detentore del bene, Tizio, il locatore, si rivolgeva all’originario conduttore Caio, pretendendo le mensilità non pagate da Sempronio (che aveva dovuto rilasciare l’immobile per morosità).

Confermando la decisione di rigetto dei Giudici di merito, la Cassazione ribadisce i suoi precedenti (Cass. 20/04/2007 n° 9486 e 11/11/2011 n° 23557)  secondo cui “in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quello dell’azienda) effettuata ai sensi dell’art. 36 della L. 392/78, senza il consenso del locatore, tra il cedente ed il cessionario, divenuti successivo conduttore dell’immobile suindicato,  esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente perciò al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziarie per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia consumato l’inadempimento di detto nuovo conduttore”; così come avvenuto  nel caso di specie, a nulla rilevando quanto eccepito dall’originario conduttore Caio – al quale il locatore Tizio si era rivolto per ottenere gli importi non pagati dal nuovo conduttore Sempronio-  ossia il fatto del rinnovo tacito della locazione per ulteriori sei anni, considerato che la rinnovazione non comporta la nascita di un nuovo contratto bensì la prosecuzione di quello precedente.

La decisione, chiara, concisa ma esaustiva, ci offre lo spunto per ampliare il tema che non si esaurisce nel dictum del S.C., potendo proporsi altre problematiche, non sempre di facile soluzione, come nella fattispecie qui esaminata, problematiche che è bene affrontare.

Preliminarmente, va  ricordato, sulla base della teoria generale, in cosa consiste la cessione del contratto, un istituto introdotto per la prima volta nel Codice Civile del 1942. Esso è  previsto dell’art. 1406 CC che recita testualmente “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazione corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”.

Dalla lettura di tale disposizione, emergono immediatamente le caratteristiche dell’istituto.

1)   Trilateralità. Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria (v. ex multi Cass. 6157/2007), la cessione del contratto si conclude con l ‘incontro dei consensi  del ceduto  (il soggetto  che viene estromesso) del cessionario (quello che subentra) e del ceduto (quello che rimane). Nella locazione, rispettivamente l’originario conduttore, quello nuovo, il locatore. Minoritaria la dottrina (Bianca) secondo la quale la cessione del contratto si  configurerebbe come un negozio bilaterale tra cedente e cessionario, costituendo il consenso del ceduto una mera condizione  di efficacia.

2)   Perfezionamento. Come già accennato, la cessione del contratto si perfeziona con la conoscenza, da parte del contraente proponente dell’ultima accettazione. Il consenso del contraente ceduto può anche essere tacito, con onere probatorio a carico di chi intende avvalersi della cessione. Inoltre, può essere successivo purché al momento della adesione non sia venuto meno l’accordo originario al quale la cessione del contratto accede e soprattutto le prestazioni non siano state eseguite.

Una deroga al consenso tacito è prevista quando una parte della cessione sia la PA, per cui la cessione, in questo caso, si perfeziona quando le sia stata notificata o l’abbia accettata in forma scritta. È possibile il consenso preventivo ex art. 1407 CC, in questo caso, in maniera analoga a quanto accade per la cessione del credito, la sostituzione è efficace dal momento in cui è stata notificata al contraente ceduto o è stata da lui accettata.

3)   Limitazioni. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la cessione del contratto, che implica la sostituzione di uno dei contraenti con un altro, presuppone che l’oggetto della obbligazione rimanga immutato, per quanto concerne gli elemento essenziali, nulla vietando che il contraente ceduto e quello cessionario possano inserire patti aggiuntivi o integrativi purché non incompatibili con l’originario assetto del sinallagma negoziale.

Non sarebbero cedibili i contratti a titolo gratuito perché la norma si riferisce a contratti a prestazioni corrispettive e quindi contratti essenzialmente onerosi.

Concludiamo questo breve excursus sulla cessione del contratto in generale, ricordando che la liberazione del contraente cedente verso il ceduto avviene con il perfezionamento della cessione, a meno che quest’ultimo non abbia dichiarato espressamente di non liberarlo, con la conseguenza che lo stesso ceduto risponderà dell’inadempimento del cessionario (art. 1408 CC). In tal caso il contraente ceduto dovrà comunicare al cedente l’inadempimento del cessionario entro 15 giorni dal suo verificarsi, essendo tenuto, in difetto, al risarcimento danni.

Il contraente ceduto può apporre al cessionario solo le eccezioni derivanti dal contratto originario ma non quelle derivanti da altri rapporti con il cedente, a meno che non se ne sia riservato il diritto al momento della sostituzione (art. 1409 CC). Il cedente poi deve garantire al cessionario la validità del contratto originario ma non l’adempimento del contraente ceduto: nel caso in cui, però, si assume anche questa garanzia, risponderà dell’inadempimento come un fideiussore (art. 1410 CC).

Ciò posto, si può senz’altro affermare che la cessione del contratto di locazione è modellata sulla disciplina normativa anzidetta (per questo richiamata per facilitarne il confronto), salvo alcune eccezioni di cui si dirà, giustificate dalla particolare natura di detto contratto.

In primo luogo, intendiamo riferirci al fatto che in deroga all’art. 1406 CC, la legge speciale in materia di locazione commerciale, per quanto qui interessa ed in particolare l’art. 36 della L. 392/78, stabilisce che per la cessione del contratto di locazione non occorre il consenso del locatore purché venga ceduta o locata l’azienda esercitata nei locali affittati e ne sia stata data comunicazione al locatore stesso con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Quest’ultimo può opporsi, in presenza di gravi motivi, nel termine di 30 giorni dalla comunicazione stessa.

Nonostante la (apparente) chiarezza di detta disposizione, sono stati sollevati dubbi interpretativi ed alcune problematiche su siffatto “congegno giuridico” che rende possibile la cessione del contratto in questione senza che l’originario conduttore possa esser ancora tenuto a rispondere una volta che la cessione stessa si sia perfezionata.

È sufficiente che alla cessione del contratto di locazione si accompagni anche quella dell’affitto della azienda esercitata nell’immobile locato?

Quali effetti si riconducono alla opposizione per gravi motivi del locatore?

È necessaria la raccomandata con avviso di ricevimento per la comunicazione della cessione o sono possibili anche modalità diverse?

Quali sono le conseguenze in caso di inadempimento del contraente cessionario (il nuovo conduttore) e del contraente cedente (l’originario conduttore) nei confronti del contraente ceduto (locatore) nella ipotesi di accertata inefficacia della cessione del contratto di locazione commerciale?

Quale è la disciplina giuridica in caso di più cessioni avvenute nel corso della locazione?

Trattasi di questioni di un certo rilievo ed importanza che potrebbero sembrare inimmaginabili all’esito della lettura dell’art. 36 L. 392/78, ma che purtuttavia spesso si verificano determinando l’intervento necessario del Giudice chiamato spesso, come si assiste nella pratica forense, a “sciogliere intricate matasse”.

Senza la pretesa di essere esaustivi, si cercherà di dare risposta per ognuno degli interrogativi suddetti, con il supporto della dottrina e della giurisprudenza formatasi sulle singole questioni.

Le superiori osservazioni ci consentono, prima di tutto, di affermare la sussistenza di una differenza ontologica tra la cessione del contratto, quella prevista in via generale dall’art. 1406 CC e quella prevista in via speciale dall’art. 36 L. 392/78.

Nel primo caso, occorre il consenso del contraente ceduto, per il perfezionamento del negozio, con l’effetto di  liberare il cedente dalle obbligazioni scaturenti dal contratto che si è inteso cedere, salvo il caso in cui lo stesso contraente ceduto non abbia dichiarato di non liberare il contraente cedente, il quale però ha diritto di essere notiziato dal primo in caso di inadempimento del cessionario ed entro 15 giorni da esso, pena, in difetto, l’obbligo di risarcimento danni.

Nel secondo caso, detto consenso non è affatto richiesto e la cessione opera automaticamente ipso facto (Cass. 24/02/2015 n° 3597; Cass. 02/07/2010 N° 15700) a condizione che ad essa si accompagni quella o l’affitto della azienda esercitata nell’immobile locato: una condizione all’evidenza posta in ragione della tutela dell’avviamento commerciale che aveva ispirato l’analoga disciplina prevista in precedenza dall’art. 5 L. 27/01/1963 n° 19. In apparente contrasto vedasi però  Cass. 03/04/2003 n° 5137 secondo cui la cessione o l’affitto dell’azienda esercitata nell’immobile locato non produce l’automatica successione, nel rapporto locatario, del cessionario dell’azienda essendo necessario tra quest’ultimo ed il cedente della stessa un formale negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione anche senza il consenso del locatore stesso, in deroga all’art. 1594 CC, salvo sempre l’opposizione di quest’ultimo di cui sopra si è detto.

Quindi, le vicende traslative del rapporto locativo non sono legate, per espressa  previsione normativa, al consenso del locatore essendo richiesto solo l’accordo tra cedente e cessionario, salvo l’opposizione per gravi motivi del contraente ceduto, che può formulare entro 30 giorni dalla comunicazione della cessione.

Ciò significa: 1) che il consenso del locatore non è elemento costitutivo della cessione del contratto di locazione commerciale, venendo in considerazione solo il suo eventuale dissenso, comunicato nel termine suddetto, che costituisce un elemento estraneo al negozio, funzionale alla sospensione temporanea o al venire meno della cessione stessa ed eventualmente alla risoluzione dello stesso contratto di locazione stesso (cfr. Cass. 24/02/2015 n° 3597); 2) ai fini dell’esercizio di tale dissenso è necessaria la comunicazione prevista dalla norma in essere che ancorché non interferisca sulla validità della cessione tra contraente ceduto, cedente e cessionario, ne condiziona gli effetti per quanto riguarda la posizione del locatore, il quale può opporsi per gravi motivi; 3) la mancata comunicazione, che deve essere effettuata con lettera raccomandata a.r. (o con modalità diverse purché idonee a consentire la conoscenza della  modificazione soggettiva del rapporto (v.Cass. 23/01/2002 n° 741; Cass. 20/02/2014 n° 4067) rende inopponibile al locatore l’intervenuta cessione del contratto di locazione (Cass. 02/08/2000 n° 10124; Cass. 23/01/2002 n° 741; Cass 15/02/2003; n° 2311; Cass. 22/06/2006 n° 14454; Cass. 20/02/2014 n° 4067) fin tanto essa non avvenga, salvo, in tal caso, l’opposizione per gravi motivi del locatore (come accennato),  sicché la conoscenza  aliunde della cessione stessa da parte del locatore, non rileva giuridicamente a meno che che egli, avendola conosciuta, l’abbia accettata secondo la disciplina comune dell’art. 1407 CC (Cass. 26/05/1999 n° 5102; Cass. 23/01/2002 n° 741; Cass. 15/02/2003 n° 2311; Cass. 20/02/2014 n° 4067); 4) una accettazione tacita per fatti concludenti, da parte del locatore, in merito alla intervenuta cessione del contratto di locazione, significativa di una manifestazione di consenso, consentirebbe l’opponibilità di detta cessione e di conseguenza l’estraneità del cedente (originario conduttore) dalla responsabilità solidale o sussidiaria derivante dall’inadempimento del cessionario (nuovo conduttore o subentrante).

Come si vede, molteplici sono le problematiche che possono derivare dalla concreta applicazione di una breve disposizione normativa come quella di cui all’art. 36 L. 312/78.

Tra queste quella sicuramente più dibattuta, nell’ambito della quale si inserisce la decisione in commento, che molto ha dato da fare alla Cassazione, riguarda la natura giuridica della responsabilità che consegue ad una inopponibile cessione del contratto di locazione.

Il fenomeno fa parte di quella che viene definita successione cumulativa e sarebbe da ricondurre, secondo un primo orientamento, ad una ipotesi di responsabilità subordinata o sussidiaria alla luce del chiaro tenore letterale dell’art. 36 L. 312/78, che, per l’appunto, consente al locatore che non abbia liberato il cedente di agire contro quest’ultimo qualora il cessionario (cioè il nuovo conduttore subentrato nell’originario rapporto di locazione) non adempia alle proprie obbligazioni;il che sta proprio a significare che la responsabilità del cedente è subordinata all’inadempimento del cessionario,  e quindi  è sussidiaria (Cass. 12/09/2002 n° 13297) e non solidale, come al contrario vorrebbe un secondo indirizzo interpretativo che ha trovato i suoi referenti in Cass. 01/06/2004 n° 10485 e soprattutto in Cass. 09/11/2006 n° 2394. Tale orientamento,  trova il suo fondamento nella esigenza di tutelare il locatore, il quale non potrebbe scegliersi la propria controparte nel rapporto di locazione che continua con diverso soggetto. La configurazione sul piano della solidarietà, ha delle importanti conseguenze, come ad esempio in tema di prescrizione, trovando applicazione l’art. 1310 secondo cui l’interruzione effettuata dal locatore nei confronti di un cessionario ha effetti anche per gli altri coobbligati in solido.

Dopo tale arresto, una imponente decisione della Cassazione, ricca di pregevoli ed articolare argomentazioni giuridiche, ha spiegato come non sia lecito discorrere, in ipotesi come quella in esame, di una obbligazione solidale, quindi in aperto e consapevole dissenso da Cass. 10485/2004, dovendosi piuttosto ritenere, sulla base dello stesso tenore letterale dell’art. 36 L. 312/78 (come già opinato da Cass. 13297/2002) “che tra il cedente e il cessionario/attuale conduttore dell’immobile locato, esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal semplice benficium ordinis, che consente al locatore di rivolgersi al cedente solo dopo essersi consumato l’inadempimento del conduttore.

Decisivo il dato letterale, come detto, che dimostra come il legislatore del 1978 abbia operato una scelta, consapevole e ponderata, non a favore di una solidarietà pura ma a favore della sussidiarietà.

Tale conclusione sarebbe avvalorata comparando la attuale disciplina dell’art. 36 L. 312/78 con quella precedente analoga L. 19/1963, laddove all’art. 5 veniva previsto testualmente che “il cedente rimane obbligato in solido con il cessionario dell’azienda per il pagamento del fitto e per la osservanza di tutte le condizioni del contratto”, mentre nell’analogo art. 36 L. 392/78 non viene riprodotto esplicitamente il lemma sulla solidarietà.

Discorso diverso con riguardo al vincolo tra cedenti intermedi che rimangono, invece, corresponsabili in solido a prescindere dal numero delle cessioni, in ossequio alla esigenza di accordare una tutela rafforzata nei confronti del soggetto debole della vicenda negoziale, ossia il contraente ceduto (locatore) privato, come già detto, della facoltà, in pratica, di esprimere la propria volontà ed il proprio assenso nella scelta dell’altro contraente e, quindi, di realizzare un equo bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti.

L’orientamento appena ricordato è  stato seguito in successive decisioni, tra cui Cass. 04/06/2009 n° 12896 e da ultimo la recente sentenza 23111/2015.

Dicembre 2015-Avv. Antonio Arseni

Antonio Arseni

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