Mediazione civile: nessuna scadenza. Accordi anche dopo i 3 mesi

Redazione 19/05/15
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Mediatori e avvocati, la conciliazione non è vincolata ai tre mesi canonici. Lo ha stabilito il tribunale di Roma, con una sentenza che rimette in discussione i margini attraverso cui si realizza il tentativo di pacificazione, mettendo in chiaro che, anche qualora raggiunto fuori tempo, l’accordo di mediazione rimane valido.

Dopo la sua reintroduzione, infatti, definita nel settembre 2013 per effetto del decreto del Fare, infatti, era stato deciso che qualsiasi tentativo di riavvicinamento tra le parti avesse dovuto concludersi entro il limite di tre mesi al massimo.

Tale tentativo, guidato dalla figura degli avvocati di ambo le parti coinvolte nella controversia, ritenuto obbligatorio al fine di ridurre il carico in giudizio per i tribunali del sistema giudiziario.

Così, per garantire un rapido svolgimento delle pratiche di mediazione, che non finissero per prolungare ulteriormente i tempi di arrivo a sentenza delle cause in gioco, era stato fissato come termine perentorio quello dei tre mesi.

Nonostante questi paletti ben precisi posti dal testo di legge, però, il ritorno della mediazione non venne accolto da tutti con lo stesso entusiasmo: i detrattori storici cercarono di ostacolarne l’obbligatorietà, ottenendo le garanzie del ruolo centrale rivestito dall’avvocato, mentre i sostenitori riuscirono comunque a riportare l’istituto al centro delle prime battute per la definizione della controversia.

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Lo scorso 22 ottobre 2014, però, la VIII Sezione civile del tribunale di Roma ha stabilito che il limite dei tre mesi effettivi vada correlato alla condizione di procedibilità dell’azione di giudizio, con gli accordi che possono arrivare anche dopo la scadenza.

Allo stesso modo, quel termine non rappresenta un limite per la conclusione dell’accordo. In altri termini, quello della mediazione rimane un istituto sempre percorribile dalle parti in causa, anche dopo la conclusione del trimestre, la quale, come detto, non è da intendersi in misura tassativa ma dipende dal contesto in cui le pratiche per lo svolgimento del processo.

Nel caso specifico, era stato aperto un tavolo di mediazione di comunione ereditaria, inizialmente concluso felicemente tramite un accordo sottoscritto da ambo le parti. Però una delle parti in causa, successivamente, ha cercato di annullare l’accordo ricorrendo in giudizio, chiedendo la nullità dell’atto di mediazione. Una domanda che è stata respinta dalla corte romana, la quale ha condannato la richiedente al pagamento delle spese legali pari a circa 65mila euro.

 

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