I giorni della crisi: scelte ad alto rischio per gli amministratori locali alle prese con i bilanci

Michele Nico 22/10/14
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In questi giorni la difficoltà di chiudere i bilanci preoccupa seriamente gli amministratori pubblici locali, e li induce talora a ricercare soluzioni di finanza creativa, che però presentano il difetto di non mantenere sempre ciò che promettono.

Fatto sta che alcune Amministrazioni non esitano a mettere in campo imponenti programmi di dismissioni, non già per diversificare il portafoglio degli investimenti pubblici, quanto piuttosto per assicurare il riequilibrio delle cosiddette “spese correnti”, cioè legate al pagamento degli stipendi del personale, al pagamento delle consulenze o all’erogazione dei servizi sociali.

Tutto ciò ricorda la mesta figura del pater familias che, per sopperire alle necessità del nucleo familiare e sbarcare il lunario, inizia a metter mano al patrimonio della casa, vendendo ora un armadio, dopo un certo periodo i gioielli degli avi, e poi ancora una serie di preziose stampe antiche.

Qualcuno però potrebbe domandarsi:

–         quale famiglia, o quale società per azioni potrebbe pianificare la propria attività in questa logica irresponsabile, senza dover giungere prima o poi alla dichiarazione di fallimento?

–         quale futuro si sta preparando, di questo passo, per la società del domani in cui vivranno i nostri figli?

A parte queste domande senza risposta, da tempo la Corte dei Conti ha affermato che, secondo una logica di sana gestione finanziaria, i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali dovrebbero essere utilizzati solo per ripristinare gli equilibri di parte capitale, anziché essere impiegati per gli squilibri di parte corrente.

Si ricorda, sul punto, che con delibera n. 14/2013, la Sezione Autonomie è stata interpellata dalla Sezione di controllo per il Lazio, con riferimento al piano di riequilibrio finanziario pluriennale presentato da un Ente locale, per sapere se sia possibile derogare, in forza della specialità della normativa sul riequilibrio, agli attuali limiti stabiliti in materia di copertura di disavanzi di parte corrente con proventi derivanti da alienazioni immobiliari, similmente a quanto già avviene per gli enti in condizione di dissesto finanziario (artt. 244 segg. TUEL).

Le affermazioni della Corte, in questa occasione, sono draconiane e non sembrano lasciare spazio a dubbi.

Il collegio evidenzia che l’art. 1, comma 443 della legge di stabilità 2013 stabilisce, in attuazione della disciplina dell’equilibrio del bilancio in parte corrente, che “i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito”.

Aggiunge poi la Corte che “ad ulteriore rafforzamento dei principi appena ricordati, sia pure in via di interpretazione sistematica, sovviene l’altra novella normativa introdotta dall’art. 1, comma 444 della legge di stabilità che modifica l’art. 193, comma 3, del TUEL (…) prevedendo che i proventi da alienazione dei beni patrimoniali disponibili possono essere utilizzati solo con riferimento a squilibri di parte capitale”.

La Corte conclude che “dal quadro normativo vigente (…) emerge con evidenza la volontà del legislatore di rafforzare la virtuosità nella gestione del bilancio degli Enti locali, ponendo il divieto ineludibile della destinazione di risorse provenienti dal patrimonio al finanziamento della parte corrente”.

Nella messa a punto dei bilanci comunali, però, gli amministratori locali si trovano nella materiale impossibilità di ottemperare a queste pur severe indicazioni, e, pur di non incorrere nella gestione commissariale prevista a sanzione della mancata approvazione consiliare del bilancio, non esitano ad assumere scelte sofferte, talora esposte a profili di responsabilità erariale.

Non fosse altro che per questa ragione, chi ci governa meriterebbe una maggiore indulgenza non solo da parte dei cittadini sul territorio, ma anche delle forze politiche arroccate all’opposizione.

 

Michele Nico

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