Pubblico impiego: l’insostenibile leggerezza di razionalizzare l’organizzazione

Giuseppe Vella 14/11/13
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Il rapporto di sudditanza tra l’alto burocrate e il ministro o amministratore di turno, è stato più volte analizzato, talvolta anche dai commediografi, dai tempi della commedia teatrale (pochade) agli anni della commedia all’italiana.

Poi, Fantozzi ha inserito nel novero anche il rapporto di lavoro privato ed il cerchio si è brillantemente chiuso: chi comanda ha sempre ragione!

Quante risate e quanti equivoci creava il marito che tornando a casa dice alla moglie: cara, indovina chi viene a cena? Non ci crederai, il ministro in persona, fatti bella……………….

Il sottinteso era che per un burocrate la carriera viene anche prima degli affetti.

Il ciclone tangentopoli aveva fatto paventare l’idea che si dovesse cambiare e quando si parla di cambiamento il popolo pensa a qualche cosa che migliori ciò che non va.

Niente di più sbagliato, i politici, sotto i colpi delle inchieste definite “mani pulite”, hanno cercato e trovato, il modo per riversare su altri le responsabilità amministrative che, fino ad allora, gravavano su di loro.

Il Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 si poneva come obiettivo:

Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego.

Il successore del citato decreto legislativo, cioè il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 si presentava così: Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Ad oltre venti anni dal primo decreto legislativo e ad oltre dodici anni dal secondo, possiamo affermare, con la speranza di essere smentiti, che di razionalizzazione nell’organizzazione del pubblico impiego ce ne stata veramente poca.

All’articolo 4 il decreto legislativo 165 del 2001 dice:

al comma uno (Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo…….);

al comma due (Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi………).

Qualche persona, esperta di legge, ha definito la trovata legislativa: una furbata!

Perché?

L’uomo di governo, l’amministratore pubblico si tiene stretto il potere di scegliere il dirigente a cui affidare il compito e la relativa responsabilità di adottare i provvedimenti amministrativi degli atti di indirizzo da lui indicati.

Può il dirigente designato contrastare la volontà, anche in caso di richieste illegittime, del politico designatore?

Noi pensiamo di si ma, diceva Andreotti: a pensar male si fa peccato ma molto spesso ci si azzecca.

Dunque, il politico si sceglie il dirigente, lo premia con obiettivi facili e remunerativi, il dirigente, a sua volta, sceglie il personale del comparto da premiare con il cosiddetto salario accessorio.

Tutto questo viene chiamato “merito”.

In aritmetica c’è la proprietà transitiva che dice: se A comanda B e B comanda C anche A comanda C.

“A” è ovviamente il politico.

Cosa è cambiato rispetto a prima del dlgs 29 del 1993?

In pratica è cambiato poco ma ad un’attenta analisi è stata modificata una cosa importantissima: il politico si è spogliato di una responsabilità fondamentale.

L’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi è passata in capo ai dirigenti.

E’ strano, quando ci sono da fare leggi per il popolo e a favore del popolo, il parlamento spesso si blocca, quando in ballo ci sono “le furbate” i politici procedono svelti.

Quando ci sono da sommare responsabilità, come nel caso dei dirigenti, si sommano anche e giustamente, gli emolumenti; quando le responsabilità si perdono, come nel caso dei politici, gli emolumenti restano gli stessi.

I costi

La “furbata” ha un costo politico ed un costo economico.

Ai dirigenti spetta l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno.

I dirigenti, non sottoposti al giudizio dei cittadini, assumono, in presenza di amministratori deboli e poco preparati, un potere reale di cui potrebbero rispondere in sede giudiziaria ma non in sede politica.

Sono molti i governanti che lamentano di essere politicamente imbrigliati dalla burocrazia. È difficile avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Tanto che, l’acuto commediografo moderno farebbe dire al governante sprovveduto: cara, indovina chi viene a cena? Non ci crederai, il capo dipartimento in persona, fatti bella……………….

Anche i politici pensano che la carriera viene prima degli affetti.

Inoltre, per convincere i dirigenti ad assumersi responsabilità tangibili, la politica ha dovuto far lievitare gli emolumenti ad essi spettanti.

I dirigenti hanno avuto un contratto scorporato dal resto del personale, dal 1993 in poi hanno visto aumentare i loro stipendi in maniera spropositata.

Le voci stipendiali sono aumentate ed il salario accessorio, quello nella discrezionalità della scelta del politico, si è gonfiato tanto da raggiungere e superare lo stipendio base.

Nel predente articolo abbiamo argomentato sul perché il sistema incentivante italiano non appare né oggettivo, né rigoroso.

Non ci resta che verificare quanto è costata la “trovata” al popolo italiano.

Secondo il giornale on line http://www.loccidentale.it/node/5458 nell’anno 2007 i dirigenti di prima fascia (i capi dipartimento ed i direttori generali) erano circa 5.000 mentre i dirigenti di seconda fascia (i direttori “colonnello”) circa 40.000.

Lo stipendio base di tutti i dirigenti è di circa 50.000€ lordi l’anno, lo stipendio accessorio o incentivante, comprensivo di obiettivo, è, in media, di 120.000€ per i direttori generali e di 60.000€ per gli altri dirigenti.

In pratica ogni anno occorrono 600 milioni di euro per incentivare i dirigenti di prima fascia e 2 miliardi e 400 milioni di euro per incentivare i dirigenti di seconda fascia, un totale di 3 miliardi di euro per la “trovata” dell’incentivazione, presupposto per la realizzazione della “meritocrazia” all’italiana.

Moltiplichiamo per 20 anni ed avremo la parsimoniosa cifra di 60 miliardi di euro.

Possiamo dunque affermare che il coinvolgimento dei dirigenti nelle responsabilità gestionali che prima erano dei soli politici, ha il costo della crisi economica italiana.

Il dlgs 165/2001, all’art. 19 comma 6 dice anche: Gli incarichi di cui ai commi precedenti (incarichi dirigenziali) possono essere conferiti con contratto a tempo determinato, e con le medesime procedure, entro il limite del 5 per cento dei dirigenti appartenenti alla prima fascia del ruolo unico e del 5 per cento di quelli appartenenti alla seconda fascia, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale…………………….

Cioè, i politici possono far diventare dirigenti, sia pure a tempo determinato ed entro il limite del 5+5 %, persone di particolare e comprovata qualificazione professionale.

Come e chi certifica la particolare e comprovata qualificazione professionale non è dato sapere, basta essere amico “stretto” di un politico che raggiunge il rango di amministratore e diventi dirigente pubblico.

Purtroppo c’è poco da fare, è stato sempre così, è così e sarà sempre così.

Anche i padri costituenti all’ultimo comma dell’articolo 97 hanno detto: Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Sempre andreottianamente parlando, forse anche i padri costituenti avevano amici a cui far dirigere qualche ufficio pubblico e, dopo il rigoroso “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”, qualche manina anonima, guardando in faccia tutti, aggiunse: salvo i casi stabiliti dalla legge.

Vale sempre il:

Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare

(Inf. III 95-96)

Ci chiediamo sempre: fino a quando?

Giuseppe Vella

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