Cassazione: parcheggio incivile? Scatta il reato di violenza privata

Redazione 10/07/13
Scarica PDF Stampa
Condomini maleducati che parcheggiano in maniera incivile? A loro carico può configurasi il reato di violenza privata. Il grave illecito penale può infatti lecitamente comminarsi nei confronti di tutti quei condomini che, parcheggiando la propria auto in una maniera tale da ostruire l’ingresso al garage condominiale, si rifiutano di provvedere a rimuoverla. Le Sezioni Unite della Cassazione, infatti, con sentenza n.28487/13 del 12 marzo 2013, si sono pronunciate nel merito con un giudizio che ha confermato quanto già consolidato a livello giurisprudenziale, di cui l’orientamento maggioritario ha sempre considerato passibile di denuncia per il reato appunto di Violenza Privata (Art. 610 c.p.), e conseguente condanna alla reclusione e risarcimento, il caso di ostruzione dell’ingresso al garage altrui. In tal senso, non sono affatto infrequenti le situazioni  in cui comportamenti consuetudinari, percepiti come “molesti” nella quotidianità condominiale, possono trasformarsi in veri e propri calvari giudiziari in sede penale con ripercussioni altrettanto gravi che possono addirittura sfociare nella condanna alla reclusione.

Sono infatti numerose le fattispecie penali che possono lecitamente avvistarsi all’interno del mini-universo del condominio, accorpando l’intero compendio degli illeciti contro la persona, contro la sua libertà morale, la sua riservatezza e talvolta contro la sua incolumità. La sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite, nello specifico, riguarda una congettura assidua ed usuale per chi abita il microcosmo condominiale, e cioè quella del vicino ‘scapestrato’ che con la propria auto finisce con il bloccare il libero transito condominiale spesso anche in presenza di evidenti divieti e passi carrabili. La norma richiamata, attenendo alla ripetuta ostruzione dell’ingresso all’altrui garage, richiama esplicitamente l’art. 610 c.p. che appunto salvaguarda la libertà morale, sostenendo che “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Il senso interpretativo della norma è chiaramente orientato a proteggere la libertà morale del soggetto che, nell’ambito della rispettiva proprietà privata, ha pieno diritto di espressione e godimento e pertanto non può essere in alcun modo limitato dal comportamento di altri.

La Suprema Corte a Sezione Unite, dunque, non ha fatto altro che confermare un indirizzo già ampiamente consolidato dalle precedenti sentenze n. 21779/06 e n.603/11, tramite le quali si affermava che “integra il reato di violenza privata, di cui all’art.610 c.p., la condotta di colui che, avendo parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominialesi rifiuti di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa”. Nel pronunciamento in questione, la Suprema Corte, rinsaldando in toto la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro con cui si rovesciava l’assoluzione concessa all’imputato dal Tribunale di Lamezia Terme, considerando il caso di un trattore di modeste dimensioni che l’imputato era solito posteggiare in un’area opposta a quella in cui esisteva un passo carrabile ma che, date le ingombranti misure, finiva con l’ostruire l’utilizzo del garage altrui, ha deciso di andare oltre il principio precedentemente ribadito. La sentenza si basa sull’oggettivizzazione del requisito della “violenza”, un elemento che, in alternativa alla “minaccia”, risulta indispensabile alla configurazione del reato, in quanto nella “ condotta di colui che parcheggia la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo alla parte lesa di muoversi (…) il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione ed azione”.

Considerata la gravità del reato, è importante accertare che non si tratti di un fatto episodico e che la persona offesa abbia già provveduto a segnalare l’abuso, oltre alla presa di coscienza da parte del condomino ‘trasgressore’ dell’antigiuridicità della propria condotta.  Altrettanto rilevante è segnalare come il reato sia procedibile d’ufficio, di conseguenza  il “condomino maleducato”, una volta denunciato, anche in caso di rimessa della querela, dovrà comunque essere tenuto a sottoporsi a processo. Un aspetto, questo, che rende particolarmente difficoltosa la pacifica risoluzione delle diatribe condominiali in tema di parcheggio. A titolo conclusivo, questa sentenza della Cassazione, sembra offrire un chiaro esempio di come il Diritto Penale non sia unicamente circoscritto entro i limiti della violenza grave e conclamata, ma giunga a ricomprendere anche comportamenti che sono il segno di ‘meri’ gesti d’inciviltà, spesso svogliatamente tollarati.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento