Precari della scuola: c’è una speranza?

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Ha suscitato clamore la sentenza del Tribunale di Trapani, che ha riconosciuto ad un docente precario di Educazione fisica un risarcimento di 150 mila euro, a compenso delle ferie non retribuite (appunto perché il rapporto di lavoro a tempo determinato cessa con la fine delle lezioni), nonché per gli aumenti dello stipendio, che avrebbe maturato in tutto il periodo in cui ha prestato servizio da precario.
Il fatto considerato rilevante dal giudice è che il docente, pur formalmente precario, è stato impiegato a ripetizione dal 2005 per coprire posti, che sono definiti “vacanti e disponibili”.
Le notizie di stampa non sono univoche nello stabilire in che cosa consista la vacanza e disponibilità, cioè se si è verificata nell’organico di diritto, oppure in quello di fatto.
Come ben sanno – per loro dolorosa esperienza – i docenti precari, l’organico di fatto è il risultato finale per un determinato anno scolastico dell’assetto delle classi di scuola. Esso risulta dopo la pianificazione dell’organico di diritto, che viene effettuata secondo gli studenti iscritti ed ai movimenti dei docenti di ruolo.
Si potrebbe dubitare che alla copertura di posti sull’organico di fatto debba corrispondere un’assunzione a tempo indeterminato. Ma di questo bisognerà riparlare.
È interessante la questione giuridica che solleva la sentenza, perché può condurre a risultati “esplosivi”.
Il giudice di Trapani ha inteso applicare le norme dell’Unione europea sulla tutela dei lavoratori a termine.
La direttiva 1999/70/CEE prevede che debbano essere adottate misure idonee a reprimere gli abusi dei contratti a termine.
Nel rapporto di lavoro privato il rimedio è la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.
La relativa norma (art. 5 d. lgs. n. 368/2001) è considerata inapplicabile al rapporto di lavoro pubblico, perché il caso è regolato da una norma specifica (l’art. 36, comma 2, d. lgs. n. 165/2001), che vieta la trasformazione.
A questo punto, il rimedio può essere appunto il risarcimento del danno, come ha stabilito il Tribunale di Trapani.
Ma la giurisprudenza più radicale ritiene che anche tale rimedio non sia sufficiente “perché il diritto del lavoratore al proprio posto, protetto dagli artt. 1, 4 e 35 Cost., subirebbe una sostanziale espropriazione se ridotto in via di regola al diritto ad una somma” (così il Tribunale di Siena nella sentenza del 27 settembre 2010, ed anche altri).
In quei casi, allora, i giudizi hanno dichiarato che il rapporto è a tempo indeterminato ed hanno condannato il Ministero ad assumere.
Lo strumento per giungere a tale conclusione è la disapplicazione delle norme nazionali che vietano la trasformazione del rapporto a tempo determinato in tempo indeterminato.
Queste sentenze vanno in rotta di collisione con l’art. 51 della Costituzione, secondo cui agli uffici pubblici si accede per concorso. Per la Corte Costituzionale questa regola vale anche nel caso di stabilizzazione.
Si pone una questione generale, con cui probabilmente dovremo fare i conti sempre più spesso: fino a che punto le norme dell’Unione possono avere ingresso nel nostro ordinamento? Possono superare le norme nazionali anche se contrastano con principi fondamentali del nostro ordinamento?

Dario Sammartino

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