Mediazione non obbligatoria: i tagli agli organismi di conciliazione

Letizia Pieri 15/02/13
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Con la definitiva sentenza emanata lo scorso ottobre dalla Corte costituzionale, che abolisce il carattere obbligatorio della mediazione civile, l’apparato nazionale concepito per agevolare l’usufrutto dello strumento risolutivo alternativo, si è tinto di toni foschi.

Ad annunciarlo sono i numeri: nel mese successivo alla decisione della Consulta, riportano i dati del ministero della Giustizia, le mediazioni iscritte nel nostro Paese sono passate dalle oltre 20 mila di ottobre a 4.631, rivelando una cifra assolutamente coerente con i risultati risalenti al mese di marzo 2011, data coincidente con l’entrata in vigore del dlgs n. 28/2011.

Il pericolo che paventa un imminente, ulteriore ribasso dei dati si fa concreto. La maggior parte dei neo-nati organismi conciliatori, complessivamente ben oltre i mille, stanno chiudendo i battenti. Molti dei mediatori accreditati, oggi, non pagano più le rispettive quote d’iscrizione non avendo più alcuna pratica conciliatoria da seguire.

La riforma sostenuta dal ministero della Giustizia rischia ora la class action, a fronte di quei 500 milioni di euro investiti dal Governo proprio sul sistema uscente. Le strutture coinvolte, riporta Italia Oggi, rivelano dati allarmanti: 1.200 iscritti in As Connet, oltre i 1.100 per MedArb, più di 800 in Adr Conciliando, quasi 700 i mediatori qualificati presso Isco e circa 600 quelli di Anpar; tutti indistintamente destinati a rimanere con le mani in mano, senza più alcuna prospettiva di mediazione all’orizzonte.

“Non possiamo mantenere questi costi sulla base delle entrate che abbiamo adesso (10 pratiche di mediazione nel mese di gennaio contro le 500 durante la vigenza dell’obbligatorietà)” , spiega Cira Di Feo di Adr Conciliando, dovendo giustificare i necessari tagli al personale.

Anche Raffaele Baroni di MedArb invoca la class action, ci siamo dati un anno di tempo per comprendere il nuovo panorama legislativo -precisa- il problema è che per aprire un organismo e un ente di formazione abbiamo dovuto rispettare i requisiti ben precisi previsti dalla legge, che richiedono però un certo tipo di investimento”.

As Connet, altresì, si è trovata a gestire nel 2013 soltanto dieci procedure su base volontaria a fronte delle 2.500 aperte nel corso del 2012. “Ci troviamo di fronte ad un problema di gestione delle spese correnti –conferma Enzo Mauro– abbiamo dovuto licenziare personale e ridurre i servizi. Ci stiamo organizzando con gli altri organismi per fare causa allo Stato”, conclude.

Sul tema interviene anche Tiziana Pompei, vicesegretario generale di Unioncamere, la quale manifesta amarezza circa la convinzione della progressiva sparizione, non soltanto legislativa ma anche culturale, della mediazione dal panorama giuridico italiano. “Dai primi dati che abbiamo sembra esser venuta meno  anche quella che prima si gestiva in modo volontario -precisa Pompei- questa situazione la addebitiamo alla comunicazione massiccia fatta dall’avvocatura, che ha diffuso l’idea che la mediazione sia scomparsa”.

La situazione non è comunque del tutto compromessa: Umi, l’Unione dei mediatori italiana, rilegge la dipartita dell’obbligatorietà conciliativa in termini innovativi di rilancio qualitativo della mediazione. Tra le altre iniziative, Umi si spende anche a favore della stipulazione di una convenzione con il Cup al fine di incrementare un’attività formativa e divulgativa sul tema della mediazione e della negoziazione, che sia capillare ed efficiente.

Anche Tiziana Pompei ribadisce l’intervento fatto per modificare i regolamenti delle camere, così agendo direttamente sulle tariffe: “abbiamo allineato le tariffe della mediazione facoltativa a quelle, più basse, della mediazione obbligatoria. Ci diamo tempo fino a giugno”. Non resta che aspettarne gli esiti.

Letizia Pieri

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