Magistrati fuori ruolo: la sfilata dei “permessi” dorati a palazzo

Redazione 17/10/12
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Erano entrati nel ddl anticorruzione, poi ne sono usciti, e, infine, sono rispuntati all’ultimo secondo. La carica dei magistrati fuori ruolo è corposa, e non è un segreto che la loro natura di “corpi estranei” alla giustizia costituisca una zavorra sia economica che burocratica. Lo spiega bene oggi Sergio Rizzo, giornalista del “Corriere della Sera” e autore di saggi bestseller come “La Casta”.

Sarebbero 219 in tutto le toghe che ricoprono incarichi esterni ai palazzi di giustizia, nonostante gli organici risentano di un “buco” di oltre mille unità, stando ai dati ufficiali. Se, dal computo, vengono tagliate le cariche ricoperte presso la Corte costituzionale e la Presidenza della Repubblica, arriviamo comunque al numero tutt’altro che irrilevante di 179.

Una quantità che va in qualche modo regolamentata e che sono distribuiti in ordine sparso tra i vari uffici delle autorità di garanzia, Ministeri. Altri, poi, fanno parte del Consiglio Superiore della Magistratura, o ancora, occupano i banchi di Montecitorio o di palazzo Madama.

Ben 92, però, operano nei corridoi del Ministero della Giustizia: anche loro, come gli altri colleghi in “permesso” dalle Procure, stipendiati con salari al di sopra della media della pubblica dirigenza, peraltro già nell’occhio del ciclone in questi giorni per via di una sentenza sulle retribuzioni che ha fatto discutere.

Sono quindici i magistrati che operano al cospetto del Guardasigilli Paola Severino, il quale, proprio in stesura della legge anticorruzione, ha proposto un aggiustamento della normativa che regola queste figure professionali, in particolare per quelli che svolgono le cosiddette funzioni “apicali”.

Altri 17 sono in servizio all‘ispettorato mentre 31 restano impegnati presso le ambasciate o sedi diplomatiche internazionali, dove ricoprono mansioni per le quali immaginare un magistrato è abbastanza fantasioso e pure ardito, vista soprattutto la carenza di personale giudiziario di cui si diceva.

Le cariche, poi, hanno nomi che rimandano a titoli al limite della science-fiction istituzionale: un sempre utile “Consigliere per le riforme”, un immancabile  “esperto per gli affari di giustizia” o l’etereo “magistrato di collegamento“, almeno concettualmente più affini all’ambito tribunalizio di fantomatici targhette appiccicate al muro, come gli “assistenti di studio” o lo stesso “vice segretario generale di palazzo Chigi”, anch’essi compiti alacremente svolti da toghe fuori ruolo.

Scoprire poi, che a ricoprire queste e cariche assimilabili ai magistrati oltre funzione, siano nomi al pari di Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, o di Emilia Fargnoli, figlia di Giovanni, ex presidente del Truibunale dei ministri,  è solo un elemento in più in questo scenario già abbastanza melmoso di suo, che non necessita di ulteriori retropensieri per capire quanto necessiti di un giro di vite.

Redazione

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