Non chiamiamola trasparenza

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Da qualche giorno, sul sito del Governo italiano, sono reperibili le dichiarazioni patrimoniali dei Ministri e di (alcuni) sottosegretari, con l’indicazione di redditi, immobili di proprietà e partecipazioni azionarie.

Lo aveva annunciato il presidente Monti nella, ormai storica, conferenza stampa del 4 dicembre 2011 (quella delle lacrime del Ministro Fornero): adesso, dopo più di due mesi, la promessa è stata mantenuta.

In un Paese non abituato a chiarezza e trasparenza, le reazioni erano ampiamente prevedibili: il sito del Governo è andato giù per le tante visite, gli organi di informazione hanno dato grande risalto alla notizia con tanto (troppo) entusiasmo.

Sia chiaro: l’iniziativa è apprezzabile, ma è ancora troppo poco per poter essere soddisfatti.

Si può fare di più (e meglio)

Il primo (e forse più importante) limite dell’operazione è che si tratta di un’iniziativa che ha carattere volontario: ciascuno decide “se” e “cosa” pubblicare. Questo significa che non c’è nessuna garanzia che questa pubblicazione sarà ripetuta dai prossimi Governi, per non parlare del fatto che non è dato sapere se – e con quale cadenza – questi dati saranno aggiornati.

Pertanto, se l’esecutivo Monti ritiene che i cittadini abbiano il diritto di conoscere le dichiarazioni patrimoniali dei propri ministri (e magari anche quelle di assessori comunali, provinciali e regionali) potrebbe proporre al Parlamento l’approvazione di una norma che renda obbligatoria tale pubblicazione e che magari specifichi quali dati devono essere  doverosamente forniti.

Un altro limite dell’operazione “redditi on line” è rappresentato dal fatto che le informazioni sono state fornite con modelli differenti (possibile che venti ministri e i rispettivi staff non siano riusciti a utilizzare un formato uniforme?); per non parlare della circostanza per cui i dati sono disponibili solo in .pdf (alcuni, addirittura, come scansioni di documenti cartacei) e quindi non è semplice fare estrazioni ed elaborazioni (dal Governo che ha costituito la “cabina di regia” sull’Agenda Digitale ci saremmo aspettati degli Open Data).

Ma il rischio più grosso legato all’operazione appena avviata (o già conclusa?) dal Governo è di tipo culturale: affermare un falso concetto di trasparenza per cui questa si esaurisce nella pubblicazione di redditi, portafogli azionari e proprietà immobiliari.

Sotto questo profilo, l’iniziativa del Governo Monti corre, addirittura, il rischio di diventare pericolosa.

Come può questa iniziativa rendere il Governo più responsabile e quindi più affidabile?

La trasparenza è un’altra cosa

Secondo il dizionario “Devoto-Oli”, trasparenza significa “chiarezza di comportamento e di intenti”.

Per Transparency International (una delle più importanti organizzazioni internazionali contro la corruzione), la trasparenza è un metodo per cui i cittadini devono conoscere non solo fatti e cifre relative all’azione di governo, ma devono essere anche informati su meccanismi e processi.

In Italia, a livello giuridico-normativo, il concetto di trasparenza – anche grazie al Web – è notevolmente evoluto dal 1990 ad oggi: dall’accesso ai documenti amministrativi presso gli uffici delle PA all’accessibilità totale via Internet di tutte le informazioni relative alla gestione della cosa pubblica.

La trasparenza è importante sotto molteplici profili:

Responsabilità degli amministratori: un primo livello di trasparenza è basato sulla comunicazione di ciò che l’Ente fa, nella logica di creare una relazione di fiducia tra cittadini e amministrazione. La fiducia, infatti, costituisce elemento fondamentale di una buona amministrazione ed è ormai dimostrato che l’assenza di trasparenza ingenera sfiducia, indipendentemente dai risultati effettivamente ottenuti dall’amministrazione.

– Partecipazione dei cittadini: in una democrazia è essenziale che le persone possano accedere alle informazioni per poter partecipare in modo effettivo ed efficace al dibattito pubblico. Partecipazione non significa solo esercitare il diritto di voto, ma anche prendere parte al processo decisionale con opinioni, proposte e critiche; senza trasparenza è impossibile ipotizzare questo tipo di partecipazione.

Efficienza dell’amministrazione: la comunicazione proattiva delle informazioni favorisce una migliore gestione delle informazioni all’interno dell’Ente e migliora la qualità delle decisioni assunte. In quest’ottica diventa fondamentale anche la visione collaborativa: i cittadini partecipano non solo nella mera informazione dei risultati raggiunti, ma anche – e forse soprattutto – nella verifica delle scelte effettuate e nella valutazione del valore creato.

La trasparenza non è vouyerismo, ma conoscenza strumentale a prendere decisioni ed è tanto più efficace quanto più i cittadini partecipano. Nei Paesi più virtuosi ha prodotto risultati tangibili, non solo nella lotta alla corruzione: è servita a progettare veicoli più sicuri, a stimolare gli investimenti stranieri, a ridurre il numero di ospedalizzati per alcune patologie.

In Italia, la strada verso la trasparenza è ancora lunga sia sotto il profilo dell’attuazione delle norme che, sulla carta, prevedono un alto livello di apertura sia sotto quello della cultura della trasparenza e della partecipazione.

In quest’ottica, l’iniziativa del Governo non è soddisfacente: conoscere il modello di auto del Presidente del Consiglio può esserci utile nelle discussioni “da bar”, ma non aggiunge e non toglie nulla rispetto alle scelte di governo.

Lodiamo allora Monti, ma – per favore – non chiamiamola trasparenza. Più trasparenza significa più democrazia, non più gossip!

Ernesto Belisario

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