La “rivoluzione francese” del Nordafrica

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Ha dell’incredibile quello che sta succedendo nella sponda opposta del Mediterraneo.

Un’autentica rivoluzione, senza precedenti nel mondo arabo.

Se la decolonizzazione aveva in sé qualcosa di rivoluzionario, questo era comunque rivolto contro lo straniero invasore, colonizzatore e oppressore, contro il quale è più facile fare coalizione e riunire le masse.

Si trattò di un processo lento, avviato in nome del diritto all’autodeterminazione dei popoli e condizionato da vari fattori (tra cui le pressioni esterne di Stati Uniti ed Unione Sovietica e gli eccessivi costi del controllo politico per i Paesi europei uscenti dalla seconda guerra mondiale).

L’opposizione al colonialismo politico fu guidata dalle elites africane (che avevano assorbito la cultura europea studiando in Europa o Stati Uniti), alle quali si affiancavano il ceto medio indigeno, formato da professionisti, imprenditori e agricoltori che avevano accesso al mercato delle esportazioni, e i ceti popolari africani, che si limitavano a ribellarsi allo sfruttamento come manodopera da parte dei colonizzatori europei.

Con tutt’altre caratteristiche si presenta la “rivoluzione nordafricana” dei giorni nostri.

libia1Una rivoluzione “autoctona”, partita dal basso, dai ceti più poveri, e diretta, non contro lo straniero colonizzatore, ma contro il “fratello” che detiene il potere: un potere autocratico, dittatoriale, autoritario che ha ridotto allo stremo la popolazione.

Nella Francia del 1789, la popolazione insorse contro i propri monarchi assoluti, inconsci, nella loro ricca Corte, del malessere diffuso e delle condizioni in cui versava il proprio popolo, stremato da tasse poste a vantaggio di pochi ricchi, appartenenti alla monarchia e ai ceti della nobiltà e del clero.

Tanto più i reali si affannarono a reprimere nel sangue quella che sembrava una semplice rivolta, chiamando perfino truppe straniere, tanto più la rivolta diventava violenta e sanguinaria, trasformandosi in rivoluzione spietata.

Oggi, a distanza di più di 200 anni, la storia sembra ripetersi.

Anche qui è occorso che la popolazione raggiungesse lo stremo perché insorgesse contro i propri governanti, simili questi a dei monarchi assoluti che detenevano il potere da tanto tempo (Gheddafi dal 1969, Mubarak dal 1981) esercitandolo a proprio esclusivo “guadagno”, a discapito delle condizioni del proprio popolo e del malessere sempre più diffuso.

Naturalmente, la crisi economica mondiale ha avuto il suo ruolo, ma è stata, forse, soprattutto l’incapacità dei dittatori di contenerne gli effetti sul proprio popolo ad avere un ruolo determinante.

Anche la tecnologia, seppure diversa da quella della Francia rivoluzionaria, gioca un ruolo fondamentale nella presa di coscienza sociale: se, allora, era la nuova invenzione della stampa, oggi, sono internet e Facebook, che per le loro caratteristiche sono di più facile accesso e permettono la diffusione di idee ed opinioni oltre i confini strettamente nazionali.

Anche nel Nord Africa, la reazione da parte del potere è la repressione nel sangue, ma questa si rivela una mossa poco lungimirante: la repressione sanguinaria, infatti, non può far altro che esasperare il popolo ed inasprire la rivolta, ed avere perciò come conseguenza ineluttabile – prima o poi – il rovesciamento del potere assoluto.

Qui la storia non è potuta procedere per salti ed ha dovuto fare un passo indietro: per passare dalla decolonizzazione ad un’autentica democrazia occorreva forse un popolo più maturo e consapevole che rivendicasse con forza la propria dignità, opponendo alla “tesi” del potere autoritario l’ “antitesi” della rivoluzione, affinché, si possa così giungere – si spera – alla “sintesi” democratica.

Ora come non mai, il popolo nordafricano esprime autenticamente e tragicamente la volontà di autodeterminarsi, nel significato più profondo ed autentico del termine: non più tanto come mezzo di affermazione della propria indipendenza contro le ingerenze di Stati più sviluppati, come limite negativo all’altrui sovranità territoriale attraverso il riconoscimento di una propria forma di governo, ma come diritto ad effettuare scelte consapevoli, indipendenti e condivise circa il governo della res publica e i propri governanti, come strumento positivo per affermare i propri diritti fondamentali e rivendicare una partecipazione autentica alla vita politica del proprio Paese, premesse queste indispensabili per il sorgere di un’effettiva “democrazia” (dal greco δῆμος, démos, popolo e κράτος, cràtos, potere).

Se è vero che dalla rivoluzione francese, è nata, attraverso alterne fasi, una democrazia forte come quella francese, non resta che augurarsi che un tale epilogo vi sia anche nei Paesi nordafricani, con popolazioni consapevoli e coscienti che rifiutino facili strumentalizzazioni da parte di gruppi fondamentalisti/terroristici.

Ersilia Guzzetta

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