Processo false cremazioni: forte rischio prescrizione. Le tappe

Redazione 18/12/14
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E’ uno di quei casi giudiziari che hanno fatto clamore non solo in Italia, ma anche a livello internazionale. Qui, però, non c’è il delitto magari condito da particolari piccanti a tenere alta l’attenzione dei media, né un clamoroso caso di malaffare come sempre più spesso ci stiamo abituando a sentire. O, meglio, c’è un po’ di tutto questo, e anche molto di più. In peggio, beninteso: perché quando una società non ha più rispetto neanche per i morti e per il dolore delle loro famiglie, arrivando a concepire facili modalità di lucro – probabilmente illecite – alle spalle di chi piange i propri cari, allora quella stessa civiltà deve interrogarsi se può ancora definirsi tale. E’ il famoso caso delle false cremazioni di Massa, salito alle cronache alcuni anni or sono e, poche settimane fa, riemerso per un rischio reale quanto imminente, che risponde al nome di “prescrizione”.

Abbiamo raggiunto l’avvocato Emiliano Pianini, legale dell’Associazione a Tutela della Dignità dei Defunti e difensore delle 125 famiglie coinvolte nello scandalo, in cui dentro veri e propri forni crematori venivano accatastate  e bruciate indistintamente le salme poi “riconsegnate” in ceneri ai famigliari, inconsapevoli di possedere i resti di chissà chi. Un caso ai confini della realtà, che, purtroppo, non ha ancora finito di riservare brutte sorprese: l’epilogo, infatti, potrebbe essere ancora più sconvolgente, con il sopraggiunto termine per la non punibilità degli imputati.

PianiniAvvocato

Quando è iniziato il processo? Quanti gli imputati? Quali i reati addebitati?

Il procedimento è iniziato nel 2010, precisamente il 22 febbraio, con l’udienza preliminare nei confronti di 18 imputati. Tra questi ultimi figuravano, oltre ad un colonnello dei Carabinieri in pensione e all’ex responsabile dei servizi cimiteriali del Comune di Massa, il titolare dell’impresa alla quale il Comune aveva appaltato la gestione del forno crematorio del cimitero situato in località Mirteto. Molti degli accusati avevano già scontato un periodo di carcerazione preventiva.

I reati contestati sono numerosi e vanno dall’associazione a delinquere alla soppressione e dispersione di cadavere, dal peculato al falso in atto pubblico, per citare solo i più gravi.

 

In un caso del genere, quali sono state le maggiori difficoltà di impostare la difesa di ben 125 famiglie coinvolte?

Davanti all’impossibilità di analizzare il contenuto delle urne riconsegnate ai parenti a seguito della cremazione (l’esame del DNA, infatti, non può essere eseguito sulle ceneri) ci siamo confrontati con la difficoltà di introdurre in un’Aula Giudiziaria, per la prima volta, il concetto di incertezza sull’effettiva sorte dei resti mortali.

Partendo dal sacrosanto diritto di ogni individuo di poter disporre delle spoglie dei prossimi congiunti abbiamo dovuto ricostruire la vicenda legata all’operazione di cremazione di ogni singolo corpo. Tutte le parti civili costituite hanno portato in Tribunale la loro testimonianza, evidenziando, assieme all’immane sofferenza, di aver riscontrato anomalie procedurali al momento dell’arrivo del feretro presso il forno. Per ognuno sono stati attentamente esaminati i registri delle cremazioni sequestrati dai Carabinieri che, sotto la guida del P.M. Federico Manotti, hanno svolto le indagini e purtroppo da questa analisi sono emerse palesi incongruenze.

 

Quante udienze sono state tenute? 

Parecchie. La stessa udienza preliminare, conclusasi con il rinvio a giudizio di 12 imputati e della società che per conto del Comune gestiva il crematorio, ha avuto bisogno di numerose sedute. Dall’inizio del dibattimento ne ho contate più di 20.

 

Quali sono gli elementi che hanno generato maggiore ritardo portando al rischio prescrizione?

Senza dubbio la concomitante presenza di più imputati e di molte parti civili non aiuta le così dette ragioni di economia processuale.

A ciò si deve aggiungere che, poco prima dell’udienza fissata per la discussione, uno dei Giudici ha assunto un incarico nell’allora appena insediato Governo Letta. Questa circostanza, imponendo il mutamento di uno dei membri del Collegio Giudicante, ci ha costretto a ripetere quasi per intero la fase istruttoria, con notevole perdita di tempo.

 

Ovviamente in una vicenda del genere, i confini tra pubblico e privato perdono rilevanza…di fronte al mancato rispetto della vita e del dolore dei famigliari, non c’è istituzione o interesse che possa anche parzialmente giustificare una simile condotta…ma le macchie peggiori, rispetto a quanto emerso, secondo lei sono da imputare all’impresa o all’amministrazione?

Non c’è alcuna differenza, sono entrambe colpevoli. Il legale rappresentante dell’impresa ed i dipendenti di quest’ultima per anni hanno lavorato nella totale illegalità, agendo senza alcun rispetto per i defunti e per i loro famigliari. Dal novembre del 2004 al maggio del 2007 chi ha avuto la sfortuna di doversi recare al cimitero del Mirteto per una cremazione ha assistito al modo ignobile in cui i feretri venivano trattati ed alle reticenze degli operatori a fornire ogni tipo di informazione, comprendendo solo in seguito che i dubbi sorti sin da subito sulla correttezza dell’operato di questi signori avevano solidi fondamenti.

L’amministrazione, durante il medesimo periodo, ha dimenticato (o finto di dimenticare) che quello cimiteriale è, e resta, un servizio pubblico! Poiché per servizio pubblico si intende quel “complesso di prestazioni rese alla generalità degli utenti da un soggetto pubblico o da soggetto privato – sostituito al primo (cioè quello pubblico) legittimamente e giuridicamente”, va da sé che le responsabilità del Comune sono immani.

Il Comune di Massa, essendosi costituito parte civile ed essendo stato convenuto quale responsabile civile, si è dal principio trovato nella doppia veste di “accusatore” ed “accusato”.

Questa duplice posizione processuale a parer mio è tutt’altro che anomala. Infatti l’ente locale è costituito da nostri rappresentanti, il popolo conferisce loro un mandato, pertanto in qualità di nostro mandatario (e solo come tale!) è giusto che il Comune si costituisca parte civile. Nel contempo, tuttavia, non si può non ricordare che l’ente ci amministra, compie per noi delle scelte, scelte che – se sbagliate o addirittura criminali come nel nostro caso – devono produrre delle responsabilità.

Per dovere di completezza devo aggiungere che al termine del primo grado di giudizio non è stata riconosciuta alcuna responsabilità nei confronti del Comune che al contrario si è visto attribuire un risarcimento del danno, in via provvisionale, di € 5.000,00.

 

A questo punto quali sono le prossime tappe? 

Dopo una sentenza che ha inflitto condanne dai 7 anni agli 8 mesi di reclusione, riconoscendo il diritto dei parenti e dell’Associazione a Tutela della Dignità dei Defunti al risarcimento del danno (con una provvisionale di € 15.000,00 per ognuna delle persone fisiche costituitesi parte civile), ho comunque ritenuto opportuno proporre appello contro i capi del provvedimento che non hanno riconosciuto la partecipazione di alcuni imputati all’associazione per delinquere.

A mio parere i giudici di prime cure, nel mandare assolti due imputati per il delitto di cui all’art. 416 c.p., non hanno tenuto conto delle dichiarazioni rese da numerosi testimoni, al contrario utilizzate per accertare la partecipazione di altri soggetti al pactum sceleris.

Tra gli scopi del gravame depositato vi è senza dubbio quello di ottenere una condanna del Comune per le responsabilità che ho cercato di evidenziare con la precedente risposta.

Ovviamente una impugnazione parziale è stata proposta anche dal Pubblico Ministero e, per motivi diametralmente opposti, dai difensori degli imputati.

 

Dopo la sentenza Eternit il governo ha annunciato di voler modificare la prescrizione. C’è la possibilità che in qualche modo si scongiuri la maledetta tagliola?

L’art. 2, 4° comma, del codice penale vieta al Giudice di applicare retroattivamente una legge successiva sfavorevole al reo. Questa norma non è né derogabile né modificabile dal legislatore ordinario, poiché il principio summenzionato ha il rango di disposizione costituzionale. Ciò significa che anche un tempestivo intervento del Governo non avrebbe alcuna rilevanza per i processi in corso.

Redazione

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