La morte di Andrew: un faro di speranza in un mondo di guerra

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La storia di Andrew Pochter, americano di ventun anni, ha commosso l’opinione pubblica, anche se poco se ne è scritto e parlato. Laureato in studi religiosi co-gestiva l’organizzazoine Hille Hous Jewish della sua università in Ohio, punto di riferimento degli studenti ebrei americani per ritrovarsi, confrontarsi, celebrare lo Shabbat e le feste lontano dai propri cari, e per molti la prima occasione di avvicinarsi al proprio ebraismo.
Era andato in Medio Oriente, che amava appassionatamente, con l’intento di lavorare in quella regione per sostenere la pace. In primavera, in Giordania, aveva insegnato inglese ai bambini; si era poi spostato ad Alessandria d’Egitto, dove lo si poteva incontrare con la sua macchina fotografica appesa perennemente al collo. Proprio in quella città, durante gli scontri scoppiati tra oppositori e sostenitori del presidente Morsi, scambiato forse per un manifestante, ha trovato la morte.
E’ stato pugnalato mentre assisteva ad una manifestazione, nel paese dove sognava di vivere e lavorare, innamorato della cultura del Medioriente, dove ricercava la pace e la comprensione tra i popoli.
Il suo sogno era aiutare gli altri, e per questo studiava e voleva vivere; ideali altissimi per un ragazzo così giovane, che si era recato in Egitto consapevole che il paese stava risentendo di una grande rivoluzione politica; questo non lo scoraggiava o spaventava, anzi diceva che trovava sempre qualcuno disposto ad aiutarlo. Un innamorato del prossimo, dunque.
Il Washington Post ha pubblicato una sua lettera, che ha commosso il mondo intero, che Andrew aveva scritto ad un ragazzino di dodici anni, a cui aveva fatto da tutor in un campo estivo. Un po’ come un nostro capo scout che scrive ad un suo lupetto.
Nella lettera spiega per quale motivo era partito per l’Egitto, il suo amore per gli altri e per le popolazioni del Medioriente in particolare, la passione civile che lo animava.
Queste le sue parole:
“Non perdere mai la curiosità per le cose belle della vita. Continua a farti stupire dalle escursioni nei boschi, nei canyon, in montagna. Vai a pesca e vai a caccia. Esci dalla routine cittadina se puoi. Circondati di buoni amici che ti possano essere d’aiuto nei momenti di difficoltà. Innamorati. Riprenditi il tuo cuore infranto. E poi innamorati ancora. Respira ogni giorno la vita come se fosse la prima volta. Cerca qualcosa da amare e non smettere di farlo finché non trovi qualcos’altro per cui valga la pena vivere.
Non incolpare gli altri per i loro errori. Ti rende più debole. Sei un uomo forte. Non ti fermare ad ascoltare chi ti critica negativamente. Parla con convinzione e credi in te stesso perché il tuo modo di essere è più importante di come ti hanno educato. Avrei voluto congratularmi personalmente con te ma so che questo non avrebbe cambiato molto.
Cerca di non dimenticarmi. Se serve qualcosa basta un’email”.
Questo costruttore di pace del ventesimo secolo, che potrebbe essere uno dei nostri figli, diventa figlio di tutti noi. Un innamorato della vita, che ha saputo cogliere ogni suo attimo come se fosse unico ed il più importante, che ha annunciato che la vita va vissuta pienamente in ogni istante.
Che invitava il suo piccolo amico adolescente a non scoraggiarsi mai, ad andare avanti a tutti i costi, a credere in se stesso, ad amare tutto ciò che ci circonda. A credere nell’amicizia e negli altri, ad innamorarsi ed innamorarsi ancora. A non dimenticarlo, e a contare sempre su di lui in ogni momento.

Anche tanti nostri ragazzi, persi nella droga o nell’alcool, dimenticati nelle loro solitudini, svuotati di ogni energia ed entusiasmo, dovrebbero trovare un Andrew sul loro cammino. Sbandati che hanno perso la strada, sconfitti della vita, delusi ed abbandonati, tutti dovrebbero essere presi per mano e guidati a cogliere gioie e dolori di ogni giorno. Non tutti sono capaci di farlo da soli, qualcuno ha solo bisogno di una parola di incoraggiamento o di un sorriso ed un abbraccio.
Il buttarsi via, il non-vivere ai margini, il non rendersi conto che la vita è una, una sola, dovrebbe spingere tanti nostri ragazzi a spendersi per questi loro coetanei che hanno perso la strada maestra, e che sono scivolati in un burrone, e lì sono stati tante volte dimenticati.
Ogni istante va vissuto intensamente, come diceva questo ragazzo di ventun anni che credeva nell’amore, nella pace possibile tra i popoli e che per questo ha perso la vita; Andrew credeva fino in fondo in quello che faceva e credeva fermamente nell’amicizia, quella vera. Ha scritto a questo adolescente di continuare a credere in se stesso, malgrado le difficoltà che avrebbe incontrato nel suo cammino, invitandolo ad essere un uomo forte e a rendersi conto dei proprio errori, e riconoscerli.
Tanta saggezza in un cuore di soli ventun anni … tanto amore per la vita … tanta maturità … tanti sogni ed ideali …
I nostri figli dovrebbero imparare da ragazzi come questo che non vale la pena fare scorrere le loro giornate nella routine, nella ricerca di emozioni sempre più forti che alla fine non ti danno niente e ti lasciano col cuore più vuoto di prima …
Famiglie, educatori, insegnanti, sacerdoti, volontari impegnati nel sociale, associazioni, società sportive e tutti quanti lavorano e vivono a contatto con ragazzi ed adolescenti: ascoltiamo il grido di queste giovani anime, di questo nostro futuro che si butta via. Il domani è nelle loro mani, e nelle nostre, tese verso di loro.

Maria Grazia Galbiati

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