«Ex cruce lux: fiat iustitia ne pereat mundus»

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«Ex cruce lux: fiat iustitia ne pereat mundus».

Diceva e non a torto il laico Jung che l’«anima è naturaliter christiana», nel senso che conosce tanto il basso quanto l’alto, tanto la discesa nell’abisso del dolore quanto la salita dall’abisso del dolore, tanto il con-patire quanto il con-gioire. E già Hegel aveva detto di un «un venerdì santo speculativo che fu anche storico».

Si creda o non si creda nella trascendenza e nel dio di Abramo e di Isacco e di Giacobbe, si creda o non si creda che un giorno le tenebre della crudeltà e dell’ingiustizia più non saranno e solo sarà la luce della bontà e della giustizia, il dovere prossimo di tutti gli uomini della terra, e non c’è più stringente dovere etico del dovere prossimo che non ammette la strategia del rinvio da Eliot cantata in percussivo ritornello con «there will be time», è quello di rialzarsi dopo la caduta e tendere le mani a chi ancora non è riuscito a rialzarsi, Eros su Thanatos così trionfando.

Le viae crucis non sono finite. E ciascuno di noi porta la sua croce. Compagni di croce. Compagni messi in croce, spesso tra ladroni di cui s’invoca la liberazione. Non sono finiti i farisei, non è finito il Sinedrio. Tra i cultori del diritto, tanti gli armati di precettistica e casistica, tanti i depositari di arcane cabale sconosciute ai profani. E tante le leggi complicate e mal scritte, digesti di norme indigeste.

Invece degli squallidi Cantori della Notte e della Morte, che prostituiscono il diritto al servizio del principe di turno e a nuovi campi di sterminio e a nuovi gulag e a nuove foibe lo piegano tra il pianto trattenuto dei carcerati e degli affamati e dei disoccupati e dei sotto occupati e dei cassa integrati e dei licenziati e dei licenziabili e dei piccoli e medi imprenditori dai debiti soffocati, siano anche i giuristi Cantori del Giorno. Allodole siano. E portino sulle proprie spalle le altrui croci, e in empatia le portino. Perché c’è il cielo oltre le croci. L’azzurro c’è. C’è oltre le croci quell’azzurro di cielo dove siamo virgole di un unico discorso in un unico percorso, e dove altro punto fermo non c’è se non la ferma dolcezza, o la fermezza dolce. E non il diritto vendicativo c’è, ma la giustizia nel diritto. In un diritto in cui, lontano dalla pena del contrappasso, la ferma dolcezza o la fermezza dolce non temano di perdonare, il dono del perdono il maggior dono essendo.

La croce è il «lignum contradictionis». L’uomo è un «legno storto». Ma con i suoi bracci, la croce è anche il legno degli abbracci. Ma nella sua stortura, con i suoi rami sbilenchi, l’uomo è anche capace di dare abbracci e di riceverne.

Stanotte c’era una luna che sapeva di bergamotto. Ne ha strappato un frutto una ragazza e me l’ha offerto. Avevo sete e fame. «Grazie, bella mia», ho detto. E lei: «Ex cruce lux». E lei, Kant rovesciando: «Fiat iustitia ne pereat mundus».

Domenico Corradini H. Broussard

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