Riforma delle province: profili di incostituzionalità

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In attuazione dell’articolo 23, commi 16 e 17, del decreto-legge n. 201/2011 (c.d. salva Italia), il Governo ha presentato un disegno di legge recante modalità di elezione degli organi provinciali. Su questo, la Conferenza Unificata ha recentemente espresso parere negativo.

L’elemento che tra tutti merita approfondimento concerne la nuova configurazione dell’ente Provincia: soppressione delle Giunte e Consigli non più eletti direttamente dal corpo elettorale, ma composti da 10-12-16 componenti (rispettivamente nelle Province con popolazione fino a 300.000 abitanti, fino a 700.000 abitanti e oltre tale soglia) scelti da e tra i sindaci ed i consiglieri comunali dei Comuni della Provincia.

Benché in materia di organi di Comuni e Province e di elezione degli stessi sia competente lo Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione, la legislazione statale trova dei limiti e dei vincoli da rispettare, impliciti nella stessa articolazione delle diverse realtà istituzionali che costituiscono la Repubblica di cui all’art. 114 Cost. Infatti, secondo alcuni studiosi, la novella costituzionale del 2001 avrebbe configurato un pluralismo istituzionale paritario, non potendosi più individuare tra i diversi enti che compongono la Repubblica rapporti di gerarchia o anche solo di preminenza. La scelta di selezione dei consiglieri provinciali attraverso un’elezione di secondo grado, come organi di espressione dei Comuni ricadenti all’interno del territorio provinciale, andrebbe ad alterare proprio questa posizione di tendenziale parità tra i suddetti enti, in quanto verrebbe a creare una situazione per la quale solo Regioni, Città Metropolitane e Comuni godrebbero di un’autonomia collegata direttamente al principio popolare-democratico, mentre l’ente Provincia vedrebbe venir meno quel legame diretto tra l’istituzione e la comunità insediata nel proprio territorio, con la conseguenza di una irragionevole disparità di trattamento rispetto alle altre articolazioni dell’ordinamento repubblicano.

In realtà, a me sembra che l’art. 114 del Testo costituzionale, a seguito della riforma del Titolo V, presupponga la legittimazione popolare di tutte le istituzioni che formano la Repubblica, quale condicio imprescindibile per una rappresentanza politica piena del territorio. Questo dato, come ha puntualizzato l’Upi in una recente nota a commento del disegno di legge, è avvalorato anche dalla Carta europea delle autonomie locali del 1985, già ratificata dall’Italia, che collega la sfera di autonomia di un ente locale territoriale alla investitura popolare dei suoi organi (art. 3, comma 2).

 


Daniele Trabucco

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