O.P.G. e pena: qual è la differenza ora?

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Uno dei più importanti manuali di diritto penale di parte generale, attualmente adottato dalla maggior parte degli Atenei italiani, in apertura della trattazione sulle misure di sicurezza, così recita: “L’introduzione delle misure di sicurezza detentive viene di solito considerata una delle più significative novità della codificazione del 1930. L’intento originario del legislatore era quello di riformare il sistema penale in conformità alle tendenze politico-criminali dell’epoca, favorevoli al potenziamento della difesa sociale mediante l’introduzione di nuove misure sanzionatorie destinate a neutralizzare la pericolosità sociale di determinate categorie di rei. La misura di sicurezza veniva a svolgere una funzione spiccatamente “specialpreventiva”.

Il sistema del c.d. doppio binario permetteva, da una parte, di punire i soggetti che si rendessero responsabili delle varie tipologie di reati contenuti nel Libro II e Libro III del Codice Penale e, dall’altro, di sanzionare con la permanenza in strutture specifiche i soggetti socialmente pericolosi, individui cioè che potevano tornare a delinquere.

Nel caso di soggetti “imputabili” e “semi-imputabili”, l’applicazione di tali misure di sicurezza si cumulava con le pene previste dal codice, sanzionando i criminali e annullando il pericolo di una loro probabile ricaduta nella criminalità con la permanenza in dette strutture.

Nel caso di soggetti “non imputabili”, ai quali non poteva essere comminata la sanzione prevista dal codice per quella particolare fattispecie criminosa realizzata, la misura di sicurezza detentiva rappresentava l’unica vera sanzione.

Questo sistema entra in un primo momento in crisi in seguito alle pronunce della Consulta che dichiarano, negli anni ’70, l’illegittimità costituzionale di alcune categorie legali di soggetti socialmente pericolosi, e con la più innovativa Legge Gozzini (legge n. 663/86) che porta all’abolizione di ogni forma di presunzione legale di pericolosità, enunciando il principio generale per cui l’applicazione delle misure di sicurezza segue un accertamento del giudice sulla reale pericolosità sociale del soggetto.

Oggi le misure di sicurezza detentive per particolari soggetti (soggetti prosciolti per infermità psichica o per intossicazione cronica da alcool o da stupefacenti, ovvero per sordismo) si eseguono in particolari strutture denominate O.P.G. Tale misura detentiva è prevista dall’articolo 222 del Codice Penale.

Gli O.P.G. (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) sono, forse più dei carceri veri e propri, una realtà che esiste ma che a pochi interessa (o meglio, conviene) guardare, luoghi in cui la scarsità di risorse economiche, di organico e l’obsolescenza delle strutture, ha reso tali luoghi delle immense latrine (Cesare Lombroso si esprimeva in questi termini già nel 1900, in un suo famoso scritto).

Varcando le soglio di un OPG, assistiamo all’annullamento dei più fondamentali ed elementari diritti della persona, anche in considerazione della più comune opinione sugli internati che vivono in queste strutture: infermi, malati di mente, malviventi socialmente pericolosi, che la collettività rifiuta e condanna ad un (fino ad oggi) indefinito esilio dalla società.

In una recente indagine della Commissione d’inchiesta del Senato, l’opinione pubblica è stata messa a conoscenza delle condizioni in cui circa mille detenuti sono costretti a scontare tale pena sui generis e negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di volontari e attivisti che chiedono la chiusura di queste strutture detentive che già il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel discorso di fine anno, nel 2012, definiva “un autentico orrore, indegno di un paese appena civile”.

Il più recente intervento in tema di OPG è il Decreto Legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito con modifiche in Legge 30 maggio 2014, n. 81 che introdotto molte, rilevantissime, novità.

In primo luogo, in attesa che le Regioni completino la riconversione degli OPG o la creazione di nuove strutture, che prenderanno il nome di R.E.M.S. (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), ha previsto una proroga alla chiusura definitiva degli OPG al 31 marzo 2015.

In secondo luogo, e in ciò consiste la novità assoluta di tale intervento legislativo, la legge ha modificato nel profondo la disciplina di esecuzione delle misure di sicurezza detentive.

Innanzitutto, è previsto il principio di sussidiarietà per quanto concerne l’applicazione di dette misure di sicurezza, per cui il ricorso al ricovero in OPG si avrà solo quando risulti inadeguata ogni altra diversa misura.

Ma la novità più importante consiste nella riformata disciplina della durata dell’esecuzione. Dalla loro introduzione del codice del 1930 ad oggi, la durata della misura di sicurezza è sempre stata legata alla pericolosità sociale. Il quadro edittale di tale sanzione non poteva dirsi esistente, in quanto previsto nel minimo ma mai nel massimo, data la necessità di operare una continua verifica sulla effettiva pericolosità sociale o meno del detenuto-paziente e dalla possibilità di reiterare il trattamento detentivo.

Con la legge in esame, la durata delle misure di sicurezza non può superare la durata massima della pena detentiva comminata per il reato commesso. Di conseguenza, sembra plausibile affermare che un soggetto al quale sia stato applicato il ricovero in un ospedale psichiatrico, possa (o, anzi, debba) essere liberato una volta scontato il tempo di permanenza massimo, sebbene sullo stesso non sia accertato l’effettivo venir meno della pericolosità sociale, che ne costituisce il motivo di applicazione. L’applicazione della misura di sicurezza si svincola, dunque, dal concetto di pericolosità sociale ma ne rimane il fondamento.

Le prime riflessioni di alcuni autorevoli Autori del diritto contemporaneo non potevano che indirizzarsi verso tale quesito: se la misura di sicurezza deve essere applicata allorché il soggetto sia ritenuto socialmente pericoloso, come può essere rimesso in libertà qualora la sua pericolosità sociale non sia venuta meno?

A questo punto cosa differenzia realmente le pene detentive tradizionali dalle misure di sicurezza? Diverse ne sono il fondamento e la ragione dell’applicazione ma le modalità di esecuzione sono le medesime, la detenzione del soggetto è solo temporanea (ad eccezione dell’ergastolo, in linea però solo teorica).

A mio modesto parere (e in questo mi associo a voci di gran lunga più autorevoli e illustri della mia), non possiamo che parlare della fine completa, della morte senza resurrezione, del superamento senza più ritorno, del sistema del doppio binario.

Lorenzo Pispero

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