Se scappi, non ti sposi ma paghi lo stesso!

Redazione 04/01/12
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Che per sposarsi servano un sacco di soldi, è cosa nota.

Ma che anche chi decida, in limine nuptias, di mandare al diavolo anelli, parenti, fiori e vincoli più o meno sacri sia obbligato ugualmente a svuotare il portafogli, è concetto del tutto nuovo.

La Corte di Cassazione ha infatti stabilito che chi è stato lasciato dal fidanzato che ha infranto la promessa di matrimonio non ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ma ha invece diritto al rimborso delle spese sostenute per le nozze andate a monte.

La sentenza n. 9 del 2 gennaio 2012 se infatti da un lato censura il comportamento «irresponsabile» di chi rompe la promessa di matrimonio, dall’altro però non riconosce il risarcimento del danno morale, in quanto non si tratta di un illecito civile.

La vicenda si è svolta nella provincia di Catania: l’aspirante sposa, lasciata due giorni prima della data fatidica, si è rivolta al tribunale per ottenere giustizia, nella convinzione di aver diritto non solo al risarcimento delle spese sostenute per la cerimonia ma anche a un indennizzo del danno morale per la sofferenza subita.

Contro la decisione del tribunale di riconoscere solo il pregiudizio materiale negando il ristoro per il dolore patito era scattato il ricorso in appello. E dai giudici di secondo grado la signora aveva avuto soddisfazione piena ottenendo, oltre a poco meno di 10mila euro di rimborso per i soldi spesi in banchetto, addobbi floreali, abito e auto d’epoca, anche 30mila euro per il danno affettivo.

Una vittoria a tutto campo per la ricorrente, che aveva indotto il “fuggitivo” a rivolgersi a sua volta alla Cassazione, incassando un verdetto solo per metà favorevole.

Nelle motivazioni la sesta sezione civile scrive che «la rottura della promessa di matrimonio formale e solenne, cioè risultante da atto pubblico o scrittura privata, o dalla richiesta delle pubblicazioni matrimoniali (come nel caso di specie, ove il ricorrente ha esercitato il recesso solo due giorni prima della data fissata per la celebrazione delle nozze) – non può considerarsi comportamento lecito, come assume il ricorrente, allorché avvenga senza giustificato motivo».

Insomma, ammettono gli Ermellini, questo comportamento non genera l’obbligazione civile di contrarre il matrimonio, «ma il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data ed all’affidamento creato nel promissario, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità, che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti».

Manca tuttavia un norma che giustifichi il ristoro al fidanzato sedotto e abbandonato. «Poiché la legge vuole salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di ognuno di contrarre o non contrarre le nozze, l’illecito consistente nel recesso senza giustificato motivo non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale, né alla piena responsabilità risarcitoria che da tali principi consegue, poiché un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso dell’accettazione di un legame non voluto. Ma neppure si vuole che il danno subito dal promissorio incolpevole rimanga del tutto irrisarcito». In altri termini, «il componimento fra le due opposte esigenze ha comportato la previsione a carico del recedente ingiustificato non di una piena responsabilità per danni, ma di un’obbligazione ex lege a rimborsare alla controparte quanto meno l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio. Non sono risarcibili voci di danno patrimoniale diverse da queste e men che mai gli eventuali danni non patrimoniali».

Dunque, anche la libertà ha il suo prezzo, sembrerebbe sancire la Suprema Corte, condannando lo sposo che a due giorni dalle nozze ha cambiato idea, a risarcire alla sua ex tutte le spese sostenute e le obbligazioni contratte in vista del “lieto evento“.

Confermata pertanto la decisione dei giudici di merito di addossare al ricorrente “volubile” il risarcimento dei danni patrimoniali, ma cassata la scelta della Corte d’appello di condannarlo a pagare, alla mancata sposa, anche i danni morali.

Qui il testo integrale della sentenza della Cassazione

 

 

Redazione

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