Reddito light lavoratori in nero: cos’è, quando (se) verrà introdotto. Possibili sanzioni

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“Nessuno sarà lasciato indietro”. Sono queste le parole che più e più volte il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ripete ad ogni conferenza stampa per ribadire la volontà e il dovere da parte del Governo di aiutare tutti i lavoratori dipendenti e autonomi che sono stati duramente colpiti, da un punto di vista economico, dall’emergenza epidemiologica da Coronavirus.

Infatti, per i lavoratori subordinati sono stati introdotti ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, come la CIGO, il FIS e la CIGD, con requisiti d’accesso più soft rispetto alla disciplina vigente, mentre per i lavoratori autonomi – sia iscritti alla Gestione separata INPS sia appartenenti a un Albo professionale, è stato previsto il cd. “bonus di 600 euro”. Anche i lavoratori domestici, che con il “Decreto Cura Italia” non hanno trovato alcuna copertura finanziaria, risultano ora destinatari di un’indennità mensile pari a 400 euro, per i mesi di aprile e maggio 2020.

Dunque, nonostante il periodo di quarantena forzata, la maggior parte dei lavoratori hanno potuto comunque usufruire di un sostentamento minimo. Il problema, però, riguarda tutti coloro che sono impiegati “in nero”, ossia senza un regolare contratto di lavoro in corso. Questi ultimi, infatti, sono stati danneggiati doppiamente in quanto, da una parte, non possono uscire per andare a lavorare poiché senza regolare motivazione, d’altra parte, invece, il Governo riconosce coperture finanziarie solo a chi è regolarmente assunto.

Per venire incontro anche a tali lavoratori, l’Esecutivo sta pensando di introdurre il cd. “reddito light per lavoratori in nero”, ossia una forma di tutela anche per coloro che sono rimasti senza reddito per via del divieto di spostamenti sul territorio nazionale.

Reddito light lavoratori in nero: cos’è?

In base alle ultime indiscrezioni governative, i lavoratori che sono rimasti scoperti poiché senza contratto, verranno inclusi nel nuovo progetto del Governo, denominato “reddito di emergenza”, che sarà contenuto nel “Decreto Maggio”.

Sembra, però, che l’importo per chi lavora in nero sarà più basso rispetto a quello riconosciuto agli altri lavoratori inclusi nella platea dei beneficiari del “reddito di emergenza”. Probabilmente si tratterà di un mini-bonus. Sul punto, occorre però attendere l’approvazione del testo per sapere più dettaglio come funzionerà il nuovo sostegno economico.

>> Tutte le misure introdotte nel Decreto Maggio <<

Reddito light lavoratori in nero: a chi e quanto spetta

Con il “reddito di emergenza” verrà riconosciuto un bonus – per un massimo di tre mesi mensilità a decorrere dal mese in cui è stata presentata la domanda – a tutti quei lavoratori penalizzati dal lockdown deciso dal Governo per limitare il contagio da Covid-19. In particolare, l’incentivo interessa:

  • i lavoratori precari;
  • gli stagionali;
  • i lavoratori a tempo determinato a cui rischia di non essere rinnovato il contratto;
  • i lavoratori in nero.

L’agevolazione economica dovrebbe variare da 400 euro a 800 euro mensili, in base al parametro della scala di equivalenza.

Tuttavia, il Governo sta pensando di dimezzare l’importo del bonus per quei lavoratori che dichiarano di lavorare in nero (non è ancora chiaro il modo in cui il Governo li andrà ad individuare). Questo per differenziare coloro che a causa del Coronavirus rischiano di perdere un contratto di lavoro.

Reddito light avoratori in nero: requisiti da possedere

Il Reddito di emergenza è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della domanda e nelle mensilità in cui il beneficio viene erogato, salvo diversa specificazione, dei seguenti requisiti:

  • residenza in Italia, verificata con riferimento al componente richiedente il beneficio;
  • un valore del reddito familiare, nel mese precedente la richiesta del beneficio e in ciascuna mensilità che precede le erogazioni successive, inferiore ad una soglia pari all’ammontare del beneficio del Rem stesso;
  • un valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento all’anno 2019 inferiore a una soglia di euro 10.000, accresciuta di euro 5.000 per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di euro 20.000;
  • un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) inferiore ad euro 15.000.

Reddito light lavoratori in nero: come fare domanda

Il Reddito di emergenza può essere richiesto con le medesime modalità del Reddito di Cittadinanza. Il Rem è comunque richiesto tramite modello di domanda predisposto dall’INPS e presentato secondo le modalità stabilite dall’Istituto Previdenziale

Il termine di presentazione delle domande è posto al 31 luglio 2020.

Reddito light lavoratori in nero: compatibilità

Il Reddito di emergenza, infine, può essere erogato solamente a coloro che non hanno percepito, ovvero non percepiranno:

  • il bonus di 600 euro previsto dal D.L. n. 18/2020 (cd. “Decreto Cura Italia”);
  • “reddito di ultima istanza” per i professionisti.

Si fa presente, altresì, che per i soggetti percettori del Reddito di Cittadinanza, il Reddito di emergenza può essere richiesto ad integrazione della somma goduta per un importo tale per cui il cumulo dei due benefici sia pari al Reddito emergenza stesso.

Per concludere, sono esclusi dal Reddito di emergenza i soggetti che si trovano in stato detentivo, per tutta la durata della pena, Ma non solo: risultano esclusi anche coloro che sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica.

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. 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Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

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