Scarso rendimento: non licenziabile il dipendente assenteista

Paolo Ballanti 04/09/18
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Ingiustificato il licenziamento per scarso rendimento determinato dall’elevato numero di assenze per malattia che non esauriscono il periodo di comporto. Ad affermarlo la Cassazione con sentenza n. 10963/2018.

La Suprema Corte si è pronunciata sul licenziamento di un autista, alle dipendenze di un’azienda di trasporto pubblico locale, resosi protagonista di una serie di assenze giustificate da certificati di malattia che, per il loro numero e la collocazione temporale, il datore di lavoro riteneva idonee a determinare una situazione di inadeguatezza del soggetto rispetto alle esigenze organizzative e produttive.

Soccombente in primo e secondo grado, l’azienda propone ricorso in Cassazione, sostenendo che la fattispecie dello scarso rendimento rientra nell’alveo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo rilevante, si legge nella sentenza, in ragione dell’impossibilità del datore “di fruire della prestazione del conducente di linea a causa delle reiterate ed improvvise assenze non conciabili con un corretto funzionamento del servizio pubblico”.

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Investito della questione, il giudice di legittimità respinge il ricorso affermando che lo scarso rendimento ha natura soggettiva, come tale riconducibile al licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Si ricorda che presupposto del licenziamento per GMS è un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, non di gravità tale da escludere il periodo di preavviso (come invece avviene nel recesso per giusta causa).

Numerose sentenze (Cassazione n. 16472/2015 e n. 17436/2015) hanno ribadito che lo scarso rendimento è “caratterizzato da colpa del lavoratore”, consistente nella “inadeguatezza qualitativa o quantitativa della prestazione”.

A questi fini deve però tenersi conto delle sole diminuzioni di rendimento dovute ad imperizia, incapacità e negligenza del dipendente, non di quelle causate da assenze per malattia e permessi.

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Sempre la Cassazione ha chiarito che il datore non può limitarsi a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma deve anche dimostrare che ciò è dipeso da colpevole inosservanza degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore.

Nel contratto di lavoro subordinato, il dipendente non si obbliga al compimento di un’opera o di un servizio (questo si verifica nel lavoro autonomo). Tuttavia, qualora siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, il discostamento da questi valori può essere indice di una non corretta esecuzione della prestazione.

In quest’ottica, il recesso giustificato dall’elevato numero di assenze per malattia è ammissibile solo per superamento del periodo di comporto, da intendersi come quel lasso di tempo durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto.

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Il comporto è stabilito dai contratti collettivi a seconda dell’anzianità di servizio e / o della qualifica del soggetto. Si parla di:

  • Comporto “secco” quando il periodo massimo di conservazione del posto è riferito ad un’unica malattia;
  • Comporto per sommatoria, da intendersi come il periodo massimo di conservazione del posto a fronte di più eventi di malattia.

Ai fini del calcolo del comporto non rilevano, tra le altre, le assenze per infortunio e malattia professionale oltre ai giorni di malattia a causa di gravidanza e puerperio.

Paolo Ballanti

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