Mediazione civile: valida come un udienza per il Consiglio Nazionale Forense

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La Mediazione civile sembrerebbe avviarsi, anche se lentamente, verso una maggiore integrazione all’interno del panorama culturale giuridico. Il dato è confermato anche dai primi dati pubblicati  nell’abstract del X Rapporto ISDACI presentato recentemente, nel quale si evidenzia che sono state 275.000 le domande di giustizia alternativa registrate nel 2016 per un valore stimato di 26 miliardi di euro.

Un segnale positivo arriva dal Consiglio Nazionale Forense, che  lo scorso 13 novembre, ha pubblicato un parere, richiesto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, nel quale si chiarisce il nesso che lega la pratica forense alla mediazione civile.

È opportuno ricordare che i COA, in riferimento al tirocinio professionale dei futuri avvocati, trai vari requisiti, devono accertare che i praticanti abbiano assistito ad almeno venti udienze per semestre. Il CNF ha stabilito che la formazione del praticante debba riguardare anche il procedimento di mediazione e in genere tutti i procedimenti di soluzione della lite alternativi alla giurisdizione.

A tal fine ritiene che possano essere computati nel novero delle udienze cui il praticante deve assistere, anche gli incontri svolti davanti al mediatore, a condizione che in detti incontri la mediazione sia stata effettivamente svolta (ad esclusione quindi del primo incontro), ed a condizione che la sua presenza sia documentata.

Lo stesso principio è applicabile per le altre forme di ADR, che si svolgano avanti ad un organo terzo, ma non, ovviamente, nel procedimento di negoziazione assistita.

Best practice per il parlamento europeo

In ambito Europeo dopo quasi otto anni il Parlamento europeo torna sul tema della mediazione per un bilancio e un rilancio della via conciliativa alle controversie.

La nuova direttiva sulla mediazione, approvata lo scorso 12 settembre, ad amplissima maggioranza, si prefigge di arricchire i contenuti della direttiva 2008/52/EC, che storicamente ha vincolato, anche, il legislatore italiano ad integrare nel proprio ordinamento l’istituto della mediazione.

Il bilancio sull’applicazione dell’istituto in ambito comunitario è a macchia di leopardo, purtroppo, gli obiettivi prefissati dalla direttiva del 2008 non sono stati raggiunti, visto che in Europa la mediazione è usata per meno del 1% dei casi davanti ai giudici. Nella stessa direttiva il Parlamento europeo ha invitato la Commissione europea a estendere le materie nelle quali potere applicare la mediazione fino ad arrivare all’ambito amministrativo.

Il modello italiano, elogiato nella nuova direttiva, sembrerebbe avere tutti i requisiti per essere considerata una best practice.

Sorprende, pertanto, l’inerzia della politica, che davanti ad un modello positivo, come la mediazione, non interviene per valorizzarlo, oltretutto, dopo che lo stesso ministro della Giustizia aveva costituito una commissione sulle ADR, le cui proposte, di grande interesse, sembrerebbero essere scomparse dall’agenda del Guardasigilli.

Per completezza occorre sottolineare che il contesto stagnante è certamente favorito, anche, dall’assenza di riferimenti di categoria unitari,  sia da parte degli organismi di mediazione che dei mediatori.

La ripresa economica non può realizzarsi se non con politiche sulla giustizia più efficienti ed e efficaci, anche, grazie al contributo delle ADR, come richiede annualmente la Banca Mondiale nel rapporto Doing Business.

Pierangelo Bonanno

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