La tassazione dell’economia digitale

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(Prima parte)

Per affrontare fenomeni come quello dell’Economia digitale e i suoi riflessi fiscali occorre adottare una nuova prospettiva. Soprattutto al fine di agevolare il contrasto a ormai non più consentiti fenomeni di illecita pianificazione fiscale.

Internet e il commercio elettronico favoriscono, del resto, modalità di creazione del reddito immateriali e potenzialmente senza confini. Come impedire dunque, in un tale contesto, una facile evasione fiscale, con, peraltro, rilevantissimo impatto finanziario sulle casse erariali?

A questo intende rispondere la presente ricerca*, partendo del ruolo centrale assunto dai pagamenti e cercando di anticipare i nuovi fondamenti di “una presenza digitale significativa” dell’impresa nell’economia del territorio di uno Stato diverso da quello di residenza.

Infine la ricerca ha analizzato anche il fenomeno della cosiddetta Sharing economy, che promuove lo sfruttamento delle risorse grazie a piattaforme telematiche che mettono in contatto le persone per affittare, condividere, scambiare, vendere beni, competenze, tempo, denaro, spazio. Una compiuta regolamentazione anche di tale fenomeno consentirebbe l’emersione di un ampio segmento di economia informale, che oggi sfugge, in gran parte, alla tassazione.

Scopo della ricerca è stato dunque esaminare anche tale fenomeno, peraltro strettamente collegato all’evoluzione dell’economia digitale.

Per quanto riguarda il fenomeno della sharing economy sono state in particolare affrontate le seguenti questioni:

  • su quali tipi di piattaforme conviene intervenire (solo quelle che intermediano in cambio di compensi, o anche quelle che si limitano a mettere in contatto le persone, avendo poi presumibilmente comunque un ritorno economico [magari sotto forma di inserzioni pubblicitarie o altro]);
  • quali tipi di redditi oggi non vengono intercettati (i compensi per le intermediazioni, i proventi pubblicitari, i compensi per le prestazioni accessorie, etc);
  • quali problematiche le diverse fattispecie presentano (mancanza di sede in Italia per quelle estere, mancata dichiarazione di redditi [e in quali diversi modo] per quelle che si camuffano sotto forme non imprenditoriali etc);
  • come distinguere, ai fini fiscali, la disciplina e le soluzioni per le piattaforme e quelle per le persone che a tali piattaforme si appoggiano;
  • come capire quanti e quali tipi di realtà economiche gravitano intorno a questa economia (i drivers che accompagnano i turisti dall’aeroporto agli appartamenti affittati, i soggetti che gestiscono gli appartamenti per conto dei proprietari, chi fa le pulizie ed altri servizi accessori etc. etc.), probabilmente quasi del tutto in nero;
  • quali sono i riflessi Iva coinvolti nella disciplina.

Solo una volta compresi tutti tali fattori si potrà scegliere la direzione e la soluzione tecnica da adottare.

Considerato che con la dizione piattaforme digitali collaborative si intendono fenomeni fra loro molto diversi (sia giuridicamente che economicamente), bisognerebbe prima di tutto capire come disciplinare il contesto regolamentare in cui tali soggetti operano, individuandone esattamente la natura, gli effetti, i soggetti, e in ultimo i profili fiscali, sia ai fini delle imposte dirette (sia per i redditi delle piattaforme, in quanto soggetti giuridici autonomi, che per i redditi dei soggetti, professionali e non, che a tali piattaforme si appoggiano nella loro attività commerciale) e sia ai fini imposte indirette (per esempio sotto il profilo della tassazione di operazioni permutative, o la valorizzazione delle informazioni scambiate tramite social network).

Un cammino certo complesso, che, però, laddove chiaramente disciplinato, potrebbe portare finalmente ad un contesto di certezza per gli operatori, di legalità per i concorrenti e di riscossione per l’Erario di importi rilevanti che oggi sfuggono anche ai minimi criteri di monitoraggio e stima (e in tale direzione va anche la recente, positiva, novità normativa, di cui all’art. 4 del Dl 50/17,  che, nel settore degli affitti turistici, ha stabilito che le piattaforme online, che si occupano di affitti turistici, fungano da sostituti di imposta).

Anche a Bruxelles, del resto, c’è stata sul tema la presa di posizione tradotta in una importante comunicazione della Commissione Europea (2 Giugno 2016, Comunicazione COM(2016)356 – A European agenda for the collaborative economy), con cui la Commissione Europea ha elaborato linee guida (non vincolanti) e orientamenti di tipo legale e di policy diretti alle autorità pubbliche, agli operatori del mercato ed ai cittadini interessati, tra cui anche la seguente domanda,con relativa risposta,:

Quale normativa fiscale si applica? Come gli altri operatori dell’economia, anche i prestatori di servizi e le piattaforme dell’economia collaborativa sono tenuti a pagare le imposte pertinenti tra cui le imposte sul reddito delle persone fisiche, delle società e l’imposta sul valore aggiunto. Gli Stati membri sono incoraggiati a continuare a semplificare e a chiarire l’applicazione della normativa fiscale all’economia collaborativa. Le piattaforme dell’economia collaborativa dovrebbero cooperare appieno con le autorità nazionali per la registrazione delle attività economiche e agevolare la riscossione delle imposte.

Rispetto a queste criticità il legislatore deve innanzitutto chiedersi se in­tervenire e, se sì, come.

Riteniamo che la risposta alla prima domanda sia positiva e che i fautori della teoria del laissez faire – che credono nella capacità del mercato di au­toregolarsi e di individuare da solo un nuovo equilibrio tra gli operatori del sistema – sbaglino nel reputare il legislatore incapace di individuare corret­tamente il campo da gioco di questo nuovo fenomeno economico.

Leggi la seconda parte


(*) La ricerca è stata svolta dai ricercatori, Dott. Luca Caterino, Dott. Lapo Cecconi, Dott. Marco Scarselli e Dott. Walter Spinapolice, sotto la Direzione del Dott. Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Politiche fiscali Eurispes.

Giovambattista Palumbo

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