Fiscal Compact, road map per l’attacco al Patto di bilancio Ue

Il patto di bilancio europeo è artefice dell’austerity

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Se nelle ultime giornate il governo italiano non ha goduto del massimo storico in fatto di credito con le controparti europee, il premier Gentiloni ha già pronta l’arma di riserva. Ed è una soluzione in grado di scuotere fin dalle fondamenta l’ordinamento comunitario per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi, concitati anni: in sintesi, picconare nientemeno che il Fiscal Compact.

L’accordo che, approvato in maniera quasi surrettizia, è sempre più spesso tirato in ballo come principale zavorra a sviluppo e crescita dei Paesi contraenti, rischia dunque di vacillare seriamente a cinque anni dalla sua istituzione, soprattutto se, dopo l’outing dell’Italia, altri partner finiranno per accodarsi.

Alla base, in realtà, più che un cambio di rotta dell’esecutivo italiano sulle politiche finanziarie, c’è il risentimento per l’ennesima riprova che l’Italia venga sistematicamente lasciata sola nel gestire la prima fase dell’emergenza sbarchi, proprio in quella più critica in cui si devono salvare le vite umane e tentare una complessa identificazione dei disperati che attraversano il Mediterraneo.

Così, di fronte a un ulteriore “niet” di Bruxelles alle richieste italiane di maggior sostegno per una situazione sempre più drammatica e ingestibile, la risposta in cantiere a palazzo Chigi potrebbe essere quella eclatante di mettere sotto accusa il patto di bilancio che, questo sì, tanto interessa le autorità comunitarie per la stabilità economica della zona euro.

Quando e perché è nato il Fiscal Compact

Il Fiscal Compact è stato approvato nel 2012 da 25 Paesi sui 28 aderenti. È un insieme di misure restrittive su costi e politiche economiche dei singoli Stati, che spesso obbligano i governi a introdurre misure di austerity nei confronti dei propri cittadini per rientrare nei rigidi parametri elencati, di fatto azzerando la sovranità fiscale dei singoli membri sul proprio territorio.

Ad esempio, uno dei punti più criticati è sempre stato l’obbligo di mantenere il rapporto deficit/Pil sotto al 3%, quota che spesso Italia e altri Paesi hanno sforato negli anni scorsi. O, ancora, l’inserimento per legge nelle singole Costituzioni nazionali del principio del pareggio di bilancio, punto che l’ultimo governo Berlusconi si era affrettato ad esaudire.

A ratificare il Fiscal Compact, invece, fu il successivo governo di Mario Monti, forse l’esecutivo più affine alla linea dura dell’Unione europea, intervenuto nel periodo complicato dei picchi allo spread e del rischio di salvataggio in stile Grecia. Insomma, una misura che in quei momenti assai frenetici, passò quasi in sordina, salvo poi venire criticata da tutti coloro che la votarono.

E tra poche settimane, forse, il primo duro colpo arriverà proprio dall’Italia, evidentemente stufa di piegare il capo di fronte alle pretese di Bruxelles.

Nel mirino del governo sarebbe la norma compresa nel Fiscal Compact, che prevede l’obbligo – mai soddisfatto, in questo caso – di ridurre di un ventesimo l’anno la parte di debito pubblico eccedente il 60% il rapporto con l’indice di produttività. O, ancora, un’altra delle richieste di Gentiloni potrebbe essere l’inserimento della Golden Rule, la clausola che consentirebbe di non contare a mo’ di deficit anche quegli investimenti pubblici virtuosi in grado di generare crescita.

Quando avverrà l’attacco al Fiscal Compact

Secondo i piani del governo, i primi colpi al patto fiscale comunitario dovrebbero essere sferrati nella primissima parte dell’autunno.

La data spartiacque è quella del 24 settembre: in quel giorno, infatti, si terranno le elezioni tedesche per il rinnovo del Bundestag. Le previsioni danno come obbligatorio un ricorso – per la terza volta consecutiva – alla grande coalizione tra Cdu e socialisti, con Merkel confermata leader del Paese guida europeo.

C’è poi un altro punto che consente di rimettere in discussione il Fiscal Compact proprio nei prossimi mesi: l’articolo 16 infatti prevede che entro i 5 anni dalla sua entrata in vigore, si debba decidere se introdurlo all’interno dei Trattati Ue. Un punto su cui vari Paesi hanno intenzione di muoversi coi piedi di piombo e, nel caso dell’Italia, l’assist migliore per chiedere nuove negoziazioni sul calmiere ai conti, troppe volte diventato sinonimo di freno a crescita e investimenti e di stretta fiscale per i contribuenti

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Francesco Maltoni

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