Quando può l’amministratore escludere il condòmino moroso dai servizi comuni?

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Il recente D.P.C.M. 29 agosto 2016 (Disposizioni in materia di contenimento della morosità nel  servizio idrico integrato) richiama all’attenzione il dibattuto tema della sospensione dei servizi al condòmino moroso.

Uno dei problemi più gravi per il condominio

Uno dei problemi più gravi per il condominio e per il suo amministratore è la reperibilità dei fondi per far fronte alle spese comuni. A fianco dell’autonomia deliberativa dell’assemblea si pongono gli strumenti di legge, il più importante dei quali è la riscossione forzosa nei confronti dei condòmini inadempienti, pur con le incertezze e lungaggini che l’azione comporta (specie nella fase esecutiva immobiliare).

Un intervento secondario, e dissuasivo nell’immediato, si rinviene nel potere concesso all’amministratore dal rinnovato art. 63, 3° comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile (in seguito “disp. att.”) di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato in caso di mora nel pagamento dei contributi protratta per un semestre.

La riforma del 2012 ha eliminato la necessità di una apposita previsione autorizzativa del regolamento, rimarcando così la volontà del legislatore di potenziare i mezzi di formazione della provvista indispensabile per la complessa e dispendiosa gestione di un condominio. Si aggiunga che la morosità di alcuni potrebbe sfociare, fra l’altro, nell’inadempimento del condominio verso l’ente erogatore, legittimando la sospensione della fornitura all’intero edificio con evidente pregiudizio a tutti i condòmini, anche quelli in regola con i pagamenti.

I punti fermi per l’attuazione dell’art. 63 disp. att. sono i seguenti: a) che l’insolvenza contributiva duri da almeno un semestre; b) che si tratti di servizi comuni; c) che questi siano suscettibili di godimento separato. Con riguardo alle due ultime condizioni possiamo evidenziare, in via principale, i servizi di fornitura dell’acqua, erogazione del riscaldamento e dell’acqua calda, uso dell’ascensore; mentre si esclude giustamente che vi rientrino, ad esempio, l’illuminazione e la pulizia delle scale (per le quali non risulta possibile un godimento separato).

Giurisprudenza divisa

La giurisprudenza è divisa sull’interpretazione della norma, facendo emergere diverse posizioni.

Tra i favorevoli alla sospensione si afferma che l’amministratore può procedere direttamente in via di autotutela senza il preventivo intervento del giudice a condizione che si operi solamente sulle parti comuni e non sulla proprietà esclusiva del moroso (Trib. Modena ord. 5/6/2015, per la fornitura di acqua); e più in generale si rileva che l’art. 63 cit. autorizza una fattispecie di “ragion fattasi”, che si realizza nel sospendere un servizio senza adire previamente il giudice e riveste perciò carattere eccezionale, essendo tassative le ipotesi di autotutela previste dall’ordinamento (Trib. Busto Arsizio 24/12/2010).

Ma va ricordata in proposito la pronuncia di Cass. pen. 5/11/2015 n. 47276 sulla responsabilità per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni  (art. 392 cod. pen.) riconosciuta in capo al  gestore di un residence che aveva disattivato la derivazione della corrente elettrica verso l’unità abitativa di un condòmino moroso su incarico dell’amministratore del condominio (soggetto attivo di questo delitto può essere anche colui che eserciti il diritto per conto dell’effettivo titolare).

La sospensione è stata concessa anche da Trib. Brescia ord. 17/2/2014 n. 427 e Trib. Busto Arsizio 24/12/2010 cit. (entrambi per il riscaldamento) che ordinano ai condòmini morosi di consentire la sospensione del servizio attraverso le necessarie operazioni anche all’interno della proprietà esclusiva con l’ingresso dei tecnici.

Altri giudici puntano, invece, sulla irrilevanza dell’interesse economico del condominio nei confronti del bene salute, limitando l’efficacia della norma ai soli servizi comuni non essenziali, cioè non attinenti ai diritti primari costituzionalizzati.

La richiesta di sospensione è stata, quindi, rigettata da: Trib. Brescia ord. 29/9/2014 (acqua), principalmente perché la mancata erogazione dell’acqua causerebbe un pregiudizio a valori di rilievo costituzionale (vita e salute) che potrebbe ritenersi accettabile solo nella stessa misura prevista dalle disposizioni regolamentari dell’AEEG per il rapporto diretto tra somministrato ed impresa erogatrice, mentre invece è ammissibile la sospensione dall’utilizzo dell’impianto centralizzato Tv e della piscina condominiale; Trib. Torino ord. 21/8/2014 (riscaldamento e acqua calda), considerata “l’indivisibilità dei servizi comuni” (ma qui si potrebbe obiettare che, a norma dell’art. 1119 cod. civ., sono indivisibili le parti comuni, cioè in questo caso gli i locali e gli impianti); Trib. Milano ord. 24/10/2013 (riscaldamento), in quanto viene leso un bene primario costituzionalmente protetto.

Per l’uso dell’ascensore, l’esclusione sarebbe attuabile con semplice consegna ai condòmini “virtuosi” dell’apposita chiavetta di accesso; ma anche questo servizio può ritenersi essenziale per i disabili (abbattimento delle barriere architettoniche) ed in genere per le persone anziane.  Più facilmente realizzabile è la preclusione all’uso degli impianti sportivi o dell’antenna centrale Tv (cfr. sopra Trib. Brescia 29/9/2014).

Il delicato rapporto fra condominio e Ente erogatore

Il problema finora esaminato è analogo, per alcune forniture, a quello che può sorgere nel rapporto fra qualsiasi utente (e quindi anche il condominio) e l’Ente erogatore che, in caso di mora del primo, può sospendere il contratto di somministrazione (art. 1565 cod. civ.) o addirittura ritenerlo risolto in base al contratto. Due decisioni di merito (Trib. Roma ord. 27/6/2014, per il gas, e Trib. Alessandria 17/07/2015, per l’acqua) hanno confermato la legittimità dell’interruzione: nel primo caso la liberalizzazione del mercato consentiva un diverso approvvigionamento; nel secondo, sottoposto al tribunale alessandrino, il Regolamento d’utenza dell’Autorità d’ambito (ATO) prevedeva la riduzione al minimo dell’acqua.

A questo punto si inserisce il D.P.C.M. 29 agosto 2016 indicato all’inizio, emesso con finalità più ampie e generali per la tutela del patrimonio idrico ed una sua razionale utilizzazione secondo criteri di solidarietà (v. art. 144 D.Lgs. 3/4/2006 n. 152 – Codice dell’ambiente). Il provvedimento contiene, fra le varie novità, i criteri per le direttive dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi) volte al contenimento della morosità ed i principi per la disciplina  delle condizioni contrattuali nel rapporto fra gestore e utente.

Si consiglia il seguente volume:

Gli indigenti morosi

Per quanto qui interessa, viene stabilito che agli indigenti, seppur morosi, va sempre garantita una fornitura di 50 litri al giorno. Poiché il decreto non può non riguardare anche i condominii, sorge il problema dell’accertamento delle condizioni disagiate del moroso per il diritto al numero di litri garantiti e, sul piano tecnico, anche quello di poter sospendere la fornitura in modo differenziato.

Un quadro eterogeneo

Alla luce di un siffatto quadro eterogeneo, l’applicazione dell’art. 63, 3° co., delle disp. att. è tutt’altro che agevole, e non appare scevra di rischi per l’amministratore. Con riguardo all’acqua, le novità introdotte potrebbero indurre a pensare che, se viene garantita l’erogazione di 50 litri al giorno solo ai disagiati, gli altri morosi dovrebbero sottostare alla sospensione, magari con il beneficio della riduzione al minimo se ancora prevista dalle clausole regolamentari dopo la revisione da parte dell’Aeegsi. Come si rifletterà la nuova situazione sul rapporto fra condòmino moroso e condominio è ancora da vedere.

L’unico percorso sicuro è che l’amministratore si faccia sempre autorizzare dal giudice, anche per l’intervento sulle sole parti comuni. Finchè i contrasti non saranno composti da un intervento del legislatore o della Cassazione, su tutta la problematica continuerà ad aleggiare l’indicata disparità di vedute giudiziali oltre al fantasma del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. In definitiva, è facile prevedere che gli amministratori, se non obbligati dall’assemblea, difficilmente prenderanno l’iniziativa di chiedere al giudice la sospensione. L’art. 63 disp. att. rimane, in tal modo, fortemente ridimensionato e la sua modesta portata si traduce in pratica nel riconoscere il potere dell’amministratore di rappresentare al giudice le necessità economiche del condominio ai fini di  una sospensione dei servizi nei limiti in cui, allo stato dell’arte, si riesce ad ottenerla.

Giuseppe Marando

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