Referendum costituzionale: la bassa politica svende la democrazia

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La data del referendum costituzionale è stata fissata al 4 dicembre p.v. ed è ormai un affaccendarsi del Governo nella ricerca dei sistemi mediatici più incisivi per indurre la gente a votare secondo le aspirazioni della classe di potere.

Da ultimo uno spot televisivo racconta come non possa cambiare nulla se si vota “no” facendo passare l’idea che il cambiamento e la ripresa del Paese sono legati indissolubilmente alla riforma della Costituzione repubblicana. Nulla però viene detto in ordine al complesso e corrotto sistema politico che si è consolidato nel corso degli anni e che ha danneggiato la democrazia e l’economia nazionale e locale senza risparmiarsi di porre in campo le più becere meschinità.

La politica della classe di potere dal dopo guerra ai nostri giorni è stata contrassegnata, in via generale e fatta salva qualche eccezione, da una spinta verso il proprio personale tornaconto e dalla ricerca del soddisfacimento di interessi particolari dimenticando l’origine e il significato proprio del termine politica, che, senza voler apparire eruditi, significa perseguire l’interesse generale della polis (πόλις), che nell’antichità rappresentava la forma di città-stato a dimensione naturale, dalla quale prendono spunto e si sviluppano le moderne concezioni dello Stato e della democrazia.

La politica è l’arte del governare sapientemente e nell’interesse della collettività, è realizzare l’interesse generale e, se del caso, sacrificare la propria vita per quell’ideale. Secondo quella concezione giustizia e onestà camminano di pari passo, educazione dei giovani e lavoro sono i pilastri su cui poggiano le strutture della democrazia, benessere fisico e interiore non si possono disgiungere.

La partecipazione è poi il sale della vita quotidiana ma oggi è offuscata da governanti sornioni e irrispettosi che fanno credere che togliendo le libertà democratiche si possa cambiare positivamente l’Italia.

Una Riforma Costituzionale inaccettabile, perché?

La Costituzione italiana è già una garanzia per tutti, il vero problema è che non la si vuole del tutto attuare. Una riforma della Costituzione concepita unicamente allo scopo di cambiare la forma di governo per affermare, sebbene in modo indiretto, la prevalenza dell’esecutivo e in particolare del premier, sugli altri poteri è inaccettabile senza un vero confronto con i cittadini.

Basta guardarsi attorno per scoprire che il sistema politico italiano è alterato e che il perseguimento dell’interesse pubblico non è la regola ma l’eccezione. I giovani sono disoccupati, gli uomini che si definiscono “politici” sono, in larga parte, versati al proprio interesse personale e si inventano ogni sistema per controllare la gente rendendola schiava del bisogno, la dimensione dell’ignoranza segna il passo.

Bisogna che i governanti si riapproprino della passione politica di un tempo e ristabiliscano l’equilibrio con i governati. Non sarà l’eliminazione sostanziale della seconda Camera (rectius: la riduzione delle sue competenze e l’appannaggio della rappresentanza delle autonomie locali unita alla previsione delle elezioni di secondo livello) a risolvere il problema dell’Italia se non si ripristina la coscienza del ruolo della politica e se non rispettano le libertà fondamentali.

Governare non deve significare predominare e prevaricare e deve essere mantenuta la distinzione tra la sfera politica e quella dell’amministrazione a garanzia del rispetto dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei diritti dei cittadini.

Si verifica però che per un verso si afferma e per un altro si nega sicché la tanto esaltata distinzione tra il ruolo politico e quello gestionale, prescritto dal decreto legislativo n. 165/2001, svanisce come è evidente nella bozza di decreto legislativo sulla riforma della dirigenza pubblica in corso di esame in Commissione Affari Costituzionali della Camera.

L’annichilimento della dirigenza pubblica e il suo asservimento alla classe politica, che si riscontrano nel citato schema di decreto legislativo, sono ormai il fine cui tende il Governo attuale.

La riforma della Costituzione non potrà cambiare l’uomo politico che ha smesso di coltivarsi e di credere negli ideali democratici e partecipativi. Potrà soltanto avviare un processo di cambiamento del governo della Repubblica verso un duro sistema presidenzialista per nulla rispondente  alle aspirazioni del popolo italiano, se non altro perché a tale scelta si perviene dopo averlo escluso dalla partecipazione nella fase iniziale del percorso e  averlo incluso soltanto nella fase finale, con il referendum, solo per obbligo di legge.

Gli spots poi sarebbero davvero da evitare per rispetto della libertà di pensiero e di coscienza dei cittadini.

Lucia Maniscalco

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