Facebook: quando un “Mi Piace” ti può costare il lavoro

Redazione 29/06/16
Scarica PDF Stampa
La condivisione o l’apprezzamento da parte di un agente di notizie pubblicate su Facebook, quando queste possono essere interpretate come lesive dell’immagine della Polizia penitenziaria, portano alla sospensione dal servizio.

È quanto stabilito dalla Sezione Terza del T.A.R. della Lombardia con l’ordinanza del 19 maggio 2016, n. 246, che ha respinto l’istanza cautelare di un agente già sospeso per un mese dal Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.

T.A.R. della Lombardia, ordinanza 19 maggio 2016, n. 246

Si consiglia il seguente volume

Come difendersi dalla violazione dei dati su internet

L’opera, aggiornata con gli ultimi orientamenti giurisprudenziali nazionali ed europei, vuole essere uno strumento di aiuto, sia nel merito che processuale, per tutti i professionisti che si imbattono nelle problematiche riguardanti i diritti e le responsabilità per la circolazione dei dati su internet. La struttura è funzionale alla trattazione dell’argomento su tutti gli aspetti coinvolti, si introducono i diritti della personalità e dell’identità personale per proseguire nel diritto all’anonimato in internet e nella gestione del trattamento dei dati personali. Nell’era della digitalizzazione e dei social network non poteva mancare in questa opera l’analisi specifica per la gestione della privacy e le relative responsabilità per la sua violazione. Infatti si tratta di responsabilità del provider e di responsabilità per i contenuti dei siti web. Si affrontano le varie casistiche di risarcimento dei danni per i reati di Phishing e per quelli di Spamming oltre che per le violazioni su Facebook. Sul piano processuale si analizzano il ruolo dell’AGCOM e la rilevazione della competenza territoriale per trasmissioni digitali e via web. Si tratta inoltre dell’articolo 700 c.p.c. e della sua applicabilità alle questioni riguardanti internet. – Il diritto all’integrità fisica e le azioni autolesive in internet – Il diritto all’immagine: utilizzo e diffusione nei social network – Il diritto d’autore e la SIAE – Il diritto alla riservatezza – Il diritto all’onore, alla reputazione e al decoro: diffamazione a mezzo internet – Le tutele a protezione dell’identità – Falsa identità, sostituzione di persona e pubblica fede in internet – Il diritto all’anonimato nell’ordinamento italiano – Il diritto all’anonimato in rete – Limiti “privati” all’anonimato in rete. I motori di ricerca e i cookies – Identità digitale e diritto alla crittografia – La privacy nei social network – La violazione della riservatezza ed il furto d’identità – Il concreto funzionamento di Facebook ed i rapporti con la privacy. – Social network e responsabilità dei prestatori di servizi – La riservatezza della corrispondenza elettronica – Corrispondenza elettronica e intercettazioni telematiche – Procedura per il sequestro di un sito web – Il sequestro dei siti web-Regole tecniche – La responsabilità del provider – Il diritto alle telecomunicazioni e il ruolo dell’AGCOM – Trasmissioni digitali e competenza territoriale – Competenza territoriale del giudice penale nel caso di reato di diffamazione commesso utilizzando un sito “web” – Risarcimento in seguito ad attività di spamming – Risarcimento in seguito al cambiamento fraudolento del gestore telefonico – Facebook e il risarcimento del danno – Il risarcimento dei danni da ingiustificato distacco della linea telefonica – Risarcimento in seguito al reato di phishing Elena Bassoli, Avvocato in Genova, Presidente ANGIF (Associazione Nazionale Giuristi Informatici e Forensi) è Docente presso l’Università di Genova, l’Università del Piemonte Orientale e la Statale di Milano. È autore di circa centoquaranta pubblicazioni di diritto tra monografie, articoli su riviste specializzate, contributi a collettanee e relatore e divulgatore a corsi, master, convegni e seminari presso enti pubblici, istituzioni europee e primarie società nazionali e internazionali.

Elena Bassoli | 2012 Maggioli Editore

La condivisione dell’articolo e la sospensione dal servizio

L’agente della Polizia penitenziaria aveva cliccato sul pulsante “Mi piace” in relazione a un articolo pubblicato su Facebook che riportava la notizia del suicidio di un detenuto nella struttura carceraria in cui l’agente lavorava. In seguito all’episodio, il Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e il Consiglio Centrale di Disciplina avevano deciso di sospendere l’agente dal servizio per un mese, ai sensi dell’articolo 5 del D. Lgs. 449/1992. Il decreto legislativo, detto della “Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti”, prevede l’allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi con privazione dello stipendio per coloro che risultano colpevoli di “denigrazione dell’Amministrazione o dei superiori”. L’agente era stato quindi notificato della sospensione alla fine del mese di luglio 2015.

Ritenendosi insoddisfatto della decisione del Consiglio Centrale di Disciplina, l’agente si era rivolto al T.A.R. della Lombardia per l’annullamento della sanzione. In particolare, il ricorrente faceva notare come l’articolo pubblicato su Facebook avesse un contenuto lungo e complesso e che l’aggiunta del commento “Mi piace” al post nella sua interezza non costituisse di per sé un atto lesivo dell’immagine della Polizia penitenziaria.

L’apprezzamento dell’articolo comporta un danno all’immagine della Polizia

Il T.A.R. ha però respinto l’istanza cautelare dell’agente e confermato la sanzione inflitta dal Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Il Tribunale Amministrativo ha ritenuto che le azioni del ricorrente possono effettivamente “comportare un danno all’immagine dell’Amministrazione” e quindi “assumono rilevanza disciplinare”. Il Tribunale ha ammesso, come si legge nell’ordinanza, che “la notizia avesse un contenuto complesso, in quanto oltre all’informazione sul suicidio dava anche quella del pronto intervento della Polizia penitenziaria”; tuttavia, la mancanza di una tempestiva smentita del giudizio espresso, a seguito di successivi commenti alla notizia “inequivocabilmente riprorevoli”, ha qualificato il comportamento dell’agente come sanzionabile.

Nessun dubbio quindi da parte del Tribunale Amministrativo, che offre in tal modo un’importante indicazione in merito alla condotta che i pubblici ufficiali del Corpo di polizia sono tenuti a seguire su Internet e sui social network.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento