Nuovo Codice Appalti: dopo l’entrata in vigore quali problemi operativi?

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Nella G.U. del 19 aprile scorso è stato pubblicato, dopo trepidante attesa, il d.lgs. 18.4.2016 n. 50, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici, entrato in vigore lo stesso giorno della pubblicazione (Leggi anche: Nuovo Codice Appalti: ecco che cosa rischiano Imprese e Direttori Tecnici).

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Il Governo ha così mancato, anche se per un solo giorno, l’obiettivo di garantire il recepimento delle direttive comunitarie entro il biennio dalla loro pubblicazione: il 18 aprile sono infatti entrate in vigore le norme self-executing delle direttive n. 23, 24 e 25 del 2014, in assenza di formale recepimento, col singolare effetto per il quale le procedure bandite proprio in quel giorno dovevano ancora fare applicazione del d.lgs. 163/2006 ma “rettificato” nelle parti in contrasto con le predette disposizioni autoesecutive delle direttive.

L’affanno governativo nella corsa contro il tempo per rispettare la fatidica data si è percepito anche nella frenetica successione, negli ultimi giorni, di versioni affatto diverse del codice, specie per la disciplina del sotto-soglia e del regime transitorio.

Il nuovo codice è così entrato “brutalmente” in vigore il 19 aprile senza alcun periodo di vacatio legis, a differenza del d.lgs. 163/2006 per il quale fu previsto un periodo di 60 giorni. L’assenza di un adeguato periodo di metabolizzazione del nuovo testo da parte degli operatori è stato stigmatizzato anche dal Consiglio di Stato nel noto parere 1.4.2016, n. 855, e costituirà comprensibilmente l’elemento di maggiore criticità nel breve periodo per l’applicazione della riforma. L’effetto indotto sarà, molto probabilmente, oltre che di generale disorientamento per gli operatori, quello di alimentare inevitabilmente “proroghe tecniche” nelle more della revisione degli atti di gara per allinearli alle nuove norme.

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Si apre così una “nuova era” nel settore dei contratti pubblici, dopo la decade 2006-2016 del Codice de Lise e dal Regolamento attuativo, caratterizzata come ampiamente noto da un disordinato e incessante profluvio di modifiche al quadro normativo di riferimento (circa 600 modifiche disseminate in oltre 50 provvedimenti normativi). Codice de Lise che, dal 19 aprile, è dunque interamente abrogato, fatto salvo solo il regime della pubblicazione dei bandi di gara sui quotidiani (art. 66, comma 7) fino al 31 dicembre 2016, mentre un meccanismo transitorio di ultravigenza è previsto per il d.P.R. 207/2010 in attesa dell’emanazione dei numerosi provvedimenti attuativi, soprattutto in materia di lavori pubblici e servizi tecnici. È invece totalmente carente la disciplina di dettaglio per servizi e forniture (RUP, criteri di calcolo offerta economicamente più vantaggiosa, ecc.), in attesa delle linee guida dell’ANAC.

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Per usare le parole del Consiglio di Stato, il recepimento delle tre direttive ha costituito un’occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali. In estrema sintesi, il legislatore delegante ha richiesto:

  • un codice “snello” che lasci ampio spazio a atti attuativi, necessita che gli atti attuativi siano chiari, conoscibili, tempestivi, coordinati tra loro;
  • la maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti postula che si operi con immediatezza la riduzione del loro numero, la centralizzazione della committenza, la loro qualificazione rigorosa, e che strumenti di controllo e monitoraggio siano effettivi e efficaci;
  • il combinato disposto della suddivisione in lotti con la maggior flessibilità delle regole per gli appalti sotto soglia, aumentando considerevolmente “la cifra economica” degli affidamenti sotto soglia, postula un assoluto rigore dei controlli e trasparenza delle procedure, e non consente arretramenti sul piano della tutela giurisdizionale.

Rispetto alle linee portanti evidenziate nel parere del Consiglio di Stato è possibile svolgere qualche considerazione, anche con riguardo ad alcune questioni operative che si pongono nell’immediato all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice.

Semplificazione del quadro normativo?

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Genova, mercoledì 25 maggio 2016

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Il nuovo Codice degli appalti sarà il tema di un importante convegno organizzato da CNA Liguria con il patrocinio della Regione Liguria.
Particolarmente autorevole il parterre dei relatori, con la presenza – tra i tanti – di Raffaele Cantone (Presidente ANAC), dell’On.le Raffaella Mariani (Relatrice del disegno di legge delega del Governo sul recepimento delle direttive europee in materia di appalti pubblici e concessioni) e di Francesco Cozzi (Procuratore capo della Repubblica di Genova).
La tavola rotonda sarà moderata da Alessandro Cassinis, Direttore de Il Secolo XIX.

Sulla questione della “snellezza e semplificazione” del nuovo codice sono già state avanzate perplessità rispetto ai toni enfatici e ottimistici utilizzati dal Governo in sede di presentazione ufficilae: il nuovo Codice, a fronte di un numero inferiore di articoli (220) rispetto al suo predecessore (257 poi diventati 271), “pesa” in realtà di più per il numero di termini impiegato (un Codice “diversamente snello” come ha sottolineato qualcuno). Anche la scelta di sostituire “un” solo Regolamento con circa 50 provvedimenti attuativi (tra decreti ministeriali e linee guida ANAC) ha destato le perplessità del Consiglio di Stato, il quale non ha mancato di osservare come “l’obiettivo di una regolamentazione sintetica e unitaria, chiaramente conoscibile, rischia così di perdersi nella moltiplicazione degli atti attuativi. Non solo: l’obiettivo di un tempestivo cambio delle vecchie regole rischia di essere frenato nella ritardata adozione degli atti attuativi, così nel frattempo continuando a applicarsi le vecchie regole. … È evidente che la scommessa del nuovo codice potrà essere vinta solo se la fase di adozione degli atti attuativi avverrà in modo tempestivo, ordinato e coordinato…”.

E rimane comunque in vigore, nonostante l’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016, tutta la copiosa normativa extracodicistica disseminata in una miriade di provvedimenti settoriali: pensiamo solo al “mosaico” (rectius, “ginepraio”) a geometria variabile delle norme sugli acquisti di beni e servizi della P.A., dove le disposizioni risalgono a leggi finanziarie varate dal 2007 in poi, puntualmente modificate dalle recenti leggi di stabilità o dai decreti di spending review. Anche questa materia, dove convivono senza adeguato coordinamento tanti micro-sistemi giuridici distinti per categorie di beni e servizi, importi, tipologie di enti, ecc, – e dove pure si innesta la disciplina del nuovo Codice (che fa espressamente salve le norme sulla centralizzazione e il ricorso agli strumenti elettronici) – attende con urgenza un organico “Testo Unico”. E poi, ancora, tante normative settoriali, in materia di sicurezza sui luoghi del lavoro, anticorruzione e trasparenza, antimafia, le discipline settoriali, ecc. ecc. Per tacere, infine, del livello normativo regionale che pone sempre delicate questioni di costituzionalità e compatibilità col livello normativo statale negli ambiti di tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile. Insomma, un autentico “Testo Unico” nella materia dei contratti pubblici rimarrà una chimera per tutti gli operatori.

Centralizzazione e qualificazione

Tra le novità di maggiore rilievo introdotte dal d.lgs. 50/2016 spicca certamente il nuovo sistema di centralizzazione e qualificazione delle stazioni appaltanti di cui agli articoli 37 e 38, che attuano il criterio della legge delega in merito alla necessità di ridurre il numero delle stazioni appaltanti e di qualificazione delle stesse sulla base di criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione; sistema che attende peraltro di essere concretamente definito dagli atti dell’ANAC. La centralizzazione obbligatoria della committenza, muove dalla specificità del contesto italiano, connotato dall’esistenza di oltre 32.000 stazioni appaltanti; in tale obiettivo il nuovo Codice prosegue una scelta politica avviata già negli scorsi anni di valorizzazione delle centrali e dei soggetti aggregatori e di correlativa contrazione delle stazioni appaltanti e della possibilità di indire procedure autonome. L’ambito entro cui ciascuna amministrazione può svolgere funzioni di stazione appaltante viene circoscritto sul piano soggettivo, imponendosi alle amministrazioni un onere di conseguire la qualificazione e limitando ad importi modesti gli appalti che possono essere affidati da amministrazioni non qualificate. Nelle more della sua entrata in vigore, la qualificazione sarà conseguita mediante iscrizione all’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (e non potrebbe essere diversamente).

Una volta entrato a regime il sistema ed istituito l’elenco delle stazioni appaltanti qualificate, la possibilità di avviare procedure autonome di importo pari o superiore a 40.000 euro per servizi e forniture e 150.000 per lavori, richiederà, oltre alla legittimazione da parte delle disposizioni in materia di spending review (per acquisti di beni e servizi), anche la qualificazione della stazione appaltante e, per gli acquisti sotto-soglia e per i lavori di manutenzione ordinaria infra 1 milione di euro, l’utilizzo di sistemi telematici. È già prevista l’iscrizione d’ufficio nell’elenco delle stazioni qualificate del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, di CONSIP S.p.a., di INVITALIA – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.a., nonché dei soggetti aggregatori regionali di cui articolo 9 d.l. 66/2014. Per le stazioni appaltanti non qualificate, la possibilità, in alternativa al ricorso alle centrali di committenza, è rappresentata dall’aggregazione con una o più stazioni qualificate, con una certa analogia ai modelli collaborativi tra operatori economici come l’avvalimento o il raggruppamento. Non si possono sottacere le difficoltà operative nel definire accordi tra le stazioni appaltanti qualificate e non, e la puntuale delimitazione delle competenze e responsabilità nella filiera procedimentale dell’affidamento della commessa.

I Comuni non capoluogo: ennesima revisione della disciplina

Intanto, per i comuni non capoluogo, dal 19 aprile scorso, è entrata in vigore la nuova disciplina: l’art. 37, comma 4, prevede che se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia, fermo restando l’autonomia per importi infra 40.000 euro servizi/forniture e 150.000 euro lavori, e la possibilità di effettuare ordini a valere su “strumenti di acquisto” messi a disposizione dalle centrali di committenza, e fermi restando altresì gli obblighi di ricorso a sistemi telematici (art. 1, comma 450, II periodo, legge 296/2006), procede secondo una delle seguenti modalità:
a) ricorrendo ad una centrale di committenza o a soggetti aggregatori “qualificati” (saranno inseriti d’ufficio nell’elenco delle stazioni d’ufficio, tra gli altri, Consip e i soggetti aggregatori);
b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall’ordinamento;
c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso gli enti di area vasta ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56 (si rammenta che l’art. 44, comam 1, lett. c), della legge 56/2014 prevede tra l’altro che “… D’intesa con i comuni interessati la città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive”). Nelle more dell’entrata in vigore del sistema di qualificazione, sono sostanzialmente consentiti gli stessi strumenti già previsti dall’abrogato art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 163/2006: unioni, accordi consortili, ricorso alle centrali di committenza.

Per la disciplina dei comuni non capoluogo si pone l’urgenza di un tempestivo intervento chiarificatore dell’ANAC, mediante l’aggiornamento delle determinazioni n. 3 e 11/2015, anche in relazione alla sopravvenuta questione dell’obbligo di centralizzazione per i servizi “esclusi” (prima i c.d. servizi dell’allegato IIB al d.lgs. 163/2006, oggi i “servizi sociali e specifici” dell’allegato IX al d.lgs. 50/2016) e per le concessioni di servizi. Sono invero venute meno le disposizioni che, nel previgente assetto normativo, consentivano di fondare la tesi dell’assenza dell’obbligo di centralizzazione per queste tipologie di contratti (art. 20, comma 1, e art. 30, comma 1, dlgs. 163/2006).

Le procedure sotto-soglia

Altro tema di interesse generale e trasversale per le stazioni appaltanti è costituito dal regime delle procedure sotto-soglia, oggetto di frequenti ripensamenti e incertezze da parte del Governo, come dimostra la frenetica successione di modifiche all’art. 36 del Codice a ridosso della sua definitiva approvazione.

Rispetto alle previsioni iniziali della prima bozza, dove si evidenziava il “minimalismo” della procedura negoziata con almeno tre operatori economici per tutto il sotto-soglia di servizi e forniture e infra 150.000 euro per i lavori, e con almeno cinque per i lavori da 150.000 a infra 1 milione di euro, il Consiglio di Stato aveva auspicato “una prudenza del codice, quanto meno iniziale, nel tasso di semplificazione delle procedure degli affidamenti sotto soglia. Semplificazione che può tradursi in una perdita di concorrenza e partecipazione, atteso anche, in virtù del “combinato disposto” della divisione in lotti, l’elevato valore complessivo delle commesse sotto soglia rispetto al totale degli appalti aggiudicati in Italia”. Il Dlgs. 50/2016 ha ripristinato la coerenza col criterio direttivo della legge delega che aveva imposto il confronto con almeno cinque operatori. Per i lavori da 150.000 a infra 1 milione di euro si prevede il confronto con almeno dieci operatori.

Rimane confermato l’affidamento diretto, adeguatamente motivato, per lavori, servizi e forniture di importo infra 40.000 euro, rispetto al quale devono comunque rispettarsi i principi del divieto di frazionamento artificioso (reso ancora più pregnante dall’obbligo di programmazione per gli acquisti di beni e servizi per importi unitari pari o superiore a 40.000 euro), della rotazione e della verifica di congruità economica (opportunamente mediante indagini di mercato). Si devono peraltro richiamare sul punto le raccomandazioni dell’ANAC, dettate nella propria determinazione n. 12/2015 (“Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione”), ove, “con specifico riguardo alle procedure negoziate, affidamenti diretti, in economia o comunque sotto soglia comunitaria”, si è suggerita l’adozione di “Direttive/linee guida interne che introducano come criterio tendenziale modalità di aggiudicazione competitive ad evidenza pubblica ovvero affidamenti mediante cottimo fiduciario, con consultazione di almeno 5 operatori economici, anche per procedure di importo inferiore a 40.000 euro”.

Per le procedure sotto-soglia, la disciplina dell’art. 36 deve inoltre essere necessariamente coordinata con quella introdotta dalla spending review circa l’obbligo di preventiva escussione degli strumenti elettronici di acquisto (art. 1, comma 450, legge 296/2006). Pertanto, per beni e servizi sotto-soglia la procedura sarà di regola svolta sul MePA o mediante i sistemi telematici messi a disposizione dalle centrali di committenza.

In attesa delle linee guide dell’ANAC, che stabiliranno le modalità di dettaglio per supportare le stazioni appaltanti e migliorare la qualità delle procedure sotto-soglia, delle indagini di mercato, nonché per la formazione e gestione degli elenchi degli operatori economici, si prevede che l’individuazione degli operatori economici avviene tramite indagini di mercato effettuate dalla stazione appaltante mediante avviso pubblicato sul proprio profilo del committente per un periodo non inferiore a quindici giorni, specificando i requisiti minimi richiesti ai soggetti che si intendono invitare a presentare offerta, ovvero mediante selezione dai vigenti elenchi di operatori economici utilizzati dalle stazioni appaltanti, se compatibili con il presente codice. Nella versione finale è stato opportunamente prevista la possibilità per le stazioni appaltanti di utilizzare ancora gli elenchi aperti già costituiti nel rispetto dei principi, che si ritiene debbano essere individuati in quelli di pubblicità nella fase istitutiva, apertura degli elenchi, loro aggiornamento almeno annuale, proporzionalità dei requisiti per l’iscrizione tali da consentire l’accesso alle MPMI e la rotazione.

Si pone la questione, per gli acquisti sul MepA o su altri mercati elettronici, della necessità o meno di pubblicare in ogni caso l’avviso di indagine di mercato sul profilo di committente per almeno quindi giorni, al fine di selezionare gli operatori ai quali inviare l’RDO. La tesi tuzioristica pare preferibile, in attesa delle predette linee guida ANAC, mentre l’avviso non pare necessario nell’ipotesi in cui l’RDO sia inviata a tutti i fornitori abilitati (circostanza peraltro eccezionale in presenza di un cospicuo numero di operatori iscritti).

In una prospettiva sostanzialistica, tuttavia, il MePA potrebbe qualificarsi come un “maxi elenco aperto” di fornitori abilitati, costituito a seguito di un bando di abilitazione. In tal senso può essere utile il richiamo alla pronuncia del Consiglio di Stato 20.8.2015, n. 3954: “La procedura d’acquisto MePA tipicizza il procedimento laddove, per quanto qui più rileva, prescrive all’art. 332 d.P.R. 207/2010, che “i soggetti da consultare, nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento, ai sensi dell’articolo 125, comma 11, del codice, sono individuati sulla base di indagini di mercato, ovvero tramite elenchi aperti di operatori economici…”. Vale a dire che la procedura per l’affidamento dell’appalto, avente ad oggetto un contratto di servizi informatici ricompreso nella piattaforma MePa, s’è uniformata ad un doppio regime: quanto alla disciplina applicabile, a quella prevista per il cottimo fiduciario secondo il regolamento interno, riproduttivo della norma di legge; quanto invece ai soggetti abilitati da invitare alla gara, alla piattaforma dei servizi elettronici. Sicché, ai sensi dell’art. 332 d.P.R. 207/2010, potevano aspirare a divenire aggiudicatari solo gli operatori economici inclusi negli elenchi gestiti dalla Consip”.

Nel quadro delle procedure sotto-soglia si evidenzia anche la scomparsa delle procedure in economia per beni e servizi, mentre rimane la possibilità di esecuzione in amministrazione diretta per lavori infra 150.000 euro. Il nuovo Codice ha ritenuto dunque di assorbire in generale le procedure in economia nel quadro delle procedure sotto-soglia e, per i casi di urgenza o complementarietà (ove si appalesa impraticabile pure la procedure negoziate con numero minimo di operatori), nella procedura negoziata senza bando di gara. I regolamenti delle procedure in economia non avranno dunque più alcuna funzione (salvo valutare la loro conversione per la disciplina dell’attività sotto-soglia, peraltro in conformità alle future linee guida ANAC), specie con riguardo al famigerato “elenco delle voci di spesa”, mentre i quattro casi particolari di cui al secondo periodo del comma 10 del vigente art. 125 saranno anch’essi, come appena detto, riconducibili alle corrispondenti fattispecie delle procedure negoziate senza bando.

La soppressione delle procedure in economia (istituto risalente al R.D. 2440/1924, e, anzi, per i lavori addirittura al R.D. 350/1895) è da ritenersi condivisibile e allineata alla moderna sistematica comunitaria, che non consente di ritenere più fondata la contrapposizione “appalto-esternalizzazione” – “cottimo-internalizzazione” e la fictio iuris sottesa al cottimo fiduciario (per la quale, il vero “appaltatore” sarebbe l’amministrazione mentre l’operatore economico-cottimista una sorte di “subappaltatore” in una gestione sostanzialmente in house imputabile all’ente pubblico). Se viene stipulato un contratto tra un’amministrazione aggiudicatrice e un’operatore economico, in forma (necessariamente) scritta e a titolo oneroso per l’affidamento di lavori, servizi o forniture, questo è a pieno titolo sussunto nella categoria del contratto d’appalto.

Il ritorno dell’esclusione automatica per gli appalti sotto-soglia

Il nuovo Codice, nel testo pubblicato in GU, ha ripristinato pure il meccanismo dell’esclusione automatica delle offerte anomale, prevedendo al comma 8 dell’art. 97 la facoltà, per gli appalti sotto-soglia di lavori, servizi e forniture, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, di prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e sempreché il numero delle offerte ammesse non sia inferiore a dieci.

Va anzitutto osservato che, a differenza di quanto stabilito dal decreto milleproroghe 2016 (art. 7, comma 2, lett. b-bis), d.l. 210/2015), l’automatismo è consentito per appalti sotto la soglia comunitaria (e non sotto la più modesta soglia di interesse transfrontaliero di 1 milione di euro per lavori e 100.000 euro per servizi e forniture) senza limiti temporali e dunque oltre il 31 luglio 2016, con tutti i dubbi di compatibilità con i principi comunitari (fatto salvo, per i lavori il limite di 1 milione di euro per l’applicabilità del criterio del prezzo più basso: oltre tale soglia vi è l’obbligo dell’offerta economicamente più vantaggiosa e correlativa inammissibilità dell’esclusione automatica).

La novità riguarda l’obbligo di sorteggiare in seduta pubblica uno tra cinque criteri per il calcolo della soglia di anomalia al dichiarato fine “di non rendere predeterminabili dai candidati i parametri di riferimento per il calcolo della soglia”.
La pubblicazione dei bandi su GURI e quotidiani fino al 31 dicembre

Tra le novità del regime transitorio si evidenzia anche l’ultravigenza della disciplina di pubblicazione dei bandi di gara sia sulla GURI che sui quotidiani. Per questi ultimi viene garantita l’effettività della previsione introdotta dal decreto milleproroghe circa la persistenza dell’obbligo fino al 31 dicembre 2016. Il comma 11 dell’art. 216 stabilisce che:
a) fino alla data che sarà indicata nel decreto del MIT sul riordino delle modalità di pubblicazione dei bandi, gli avvisi e i bandi devono anche essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, serie speciale relativa ai contratti. Fino alla medesima data, le spese per la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale degli avvisi e dei bandi di gara sono rimborsate alla stazione appaltante dall’aggiudicatario entro il termine di sessanta giorni dall’aggiudicazione e gli effetti giuridici continuano a decorrere dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
b) fino al 31 dicembre 2016, si applica altresì il regime all’articolo 66, comma 7, del d.lgs. 163/2006, circa l’obbligo di pubblicazione dei bandi di rilievo comunitario “per estratto su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti”.

La formulazione del comma 11 dell’art. 216 apre tuttavia subito la questione circa l’obbligo o meno di rimborso delle spese di pubblicazione sui quotidiani da parte dell’aggiudicatario, atteso che la disposizione sul rimborso riguarda espressamente solo la pubblicità sulla GURI. I principi di non aggravamento degli oneri di partecipazione alla gara depongono nel senso che il rimborso sia ammissibile solo in presenza di una univoca e specifica norma autorizzatoria, al momento prevista, come appena riferito, solo per le spese di pubblicazione sulla GURI, dovendosi escludere la possibilità di prevedere il rimborso per disposizione di lex specialis.

Si auspica che la norma transitoria appena richiamata costituisca davvero l’ultimo atto di un’imbarazzante commedia all’italiana, che si protrae dal 2009, quando la legge 69/2009 aveva (inutilmente) stabilito il primato della pubblicità telematica su quella cartacea ai fini della produzione degli effetti legali (si ricorda che a tenore dell’art. 32, c.1: “A far data dal 1º gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati”).

Alessandro Massari

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