Exit strategy per l’Università Kore di Enna

Massimo Greco 19/03/16
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Ciò che sta facendo più male alla Libera Università non statale Kore di Enna non sono le indagini penali che su più fronti la tirano in ballo atteso che, accertati i fatti costituenti reato, queste coinvolgono solo coloro che ne risultano essere gli autori alla luce del principio della responsabilità personale.

Ma i ripetuti danni all’immagine e quelli di natura finanziaria. I danni all’immagine sono quelli che derivano da un’amplificazione mediatica non sempre attenta a fare i doverosi discernimenti. Per una Università come la Kore, la cui gestazione è stata notoriamente ostacolata, non possono certamente giovare gli accostamenti con la travagliata iniziativa dell’Università Romena per l’istituzione dei corsi di medicina o con le periodiche e temerarie prese di posizione del Sen. Crisafulli.

Sull’altro versante l’azzeramento immotivato dell’annuale trasferimento regionale è quello che preoccupa di più, non solo perché finisce per incidere pesantemente sugli equilibri economici e finanziari, ma perché contribuisce ad impallidirne il sistema. Sistema la cui complessità istituzionale ne rappresenta al tempo stesso la forza e la debolezza. Non ci è dato sapere perché l’Assemblea Regionale Siciliana abbia assicurato l’annuale contributo alle tre Università statali e non anche alla Kore.

Stanno forse pesando le varie inchieste giudiziarie, l’accerchiamento delle tre Università statali, l’interruzione dei rapporti con il territorio, la scarsità di risorse finanziarie regionali o i nuovi equilibri all’interno del PD? Forse un pò di tutto questo e forse anche il non volere accettare le regole del cambiamento. Tentare di fermare il tempo può essere una pratica tanto ambiziosa quanto pericolosa.

A questo punto non resta che trovare un’exit strategy per assicurare non solo la sostenibilità dell’Università Kore, ma per attribuire alla stessa la suppletiva e vitale funzione di coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionalmente interessati alla valorizzazione del territorio di riferimento e delle giovani generazioni in attività collaterali alla stessa ricerca (si pensi, ad esempio, all’esperimento, oramai divenuto prassi nelle altre Università, degli incubatori di impresa) nell’ottica, tra gli altri obiettivi, di un rinnovamento delle nostre città allo scopo di renderle finalmente smart.

Per fare questo occorrerà però procedere in fretta, come già detto, alla “sbramatura della pula”, rivitalizzando il moribondo Consorzio Ennese Universitario ovvero, strutturando la commissariata Fondazione Kore in Fondazione di partecipazione che, oltre a consentire l’ingresso diretto di quei Comuni che hanno “sbadatamente” abbandonato il CEU, risulta essere lo strumento più idoneo per la promozione di opportuni partenariati pubblico-privati in coerenza, peraltro, con quanto auspicato dalla più recente normativa in materia di fondazioni universitarie.

Massimo Greco

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