Contratti di collaborazione e Lavoro subordinato: binomio che crea confusione

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Il legislatore è intervenuto di recente con il Jobs Act a disciplinare la materia delle collaborazioni nel campo del lavoro privato statuendo che il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche se a progetto, cessi la sua esistenza lasciando così cadere un istituto che ha sempre destato  dubbi e perplessità. Nel settore privato infatti molto spesso dietro il contratto di collaborazione si celava un vero e proprio rapporto di subordinazione e, a conti fatti, si rivelava un semplice escamotage per eludere la normativa in materia di diritti e obblighi ricadenti su lavoratori e datori di lavoro che costituisce la tutela del lavoro dipendente.

Nel settore pubblico però l’istituto sopravvive ancora anche se è stato annunciato che dal 2017 scomparirà dal mondo giuridico e non potrà più pertanto connotare la specificità del rapporto di collaborazione che in tale ambito è stato fin qui possibile porre in essere.

I dubbi sulla legittima applicazione del contratto di collaborazione nel settore pubblico sono sempre stati evidenziati e hanno avuto particolare espressione in riferimento alle caratteristiche proprie del contratto e al rispetto delle condizioni imposte dalla legge per la sua sussistenza.

Il contratto di collaborazione è un contratto di lavoro autonomo secondo le disposizioni recate dall’art. 2222 e segg. del codice civile. Non comporta l’instaurarsi di un rapporto di lavoro subordinato e infatti deve essere posto in essere per particolari attività da svolgersi senza vincolo di subordinazione sebbene nel rispetto della funzionalità dell’ente conferente.

L’art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001 e sue successive modifiche e integrazioni, ha dettato la disciplina dell’istituto specificando che le pubbliche amministrazioni solo per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza di stringenti presupposti di legittimità, che lo stesso elenca: coerenza con le esigenze di funzionalità degli enti; accertamento preventivo circa l’impossibilità oggettiva a utilizzare le risorse umane disponibili al loro interno; temporaneità della prestazione e sua alta qualificazione; prorogabilità solo per completare il progetto; preventiva determinazione di durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Per legge, si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica e di altre particolari attività compresi i servizi di orientamento e collocamento.

Il rigore del legislatore si è spinto fino al punto di ritenere che il ricorso ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che lo ha posto in essere.

Il lavoro subordinato trova la sua disciplina nelle norme del codice civile che trattano del lavoro dipendente nell’impresa, e  in particolare nel libro V. Sicché, a norma dell’art. 2094 “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.”

Il D.Lgs. 165/2001 definisce, poi, all’art. 35, le modalità di reclutamento dei dipendenti pubblici, pur all’interno delle regole di tipo privatistico del lavoro subordinato in cui, ormai dal 1993 con l’emanazione del D.Lgs. 29/93, si muove anche il pubblico impiego.

E’ quindi necessario che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avvenga con contratto individuale di lavoro, tramite procedure selettive, che si conformino ai principi di trasparenza, ad oggettivi criteri di selezione, ai principi di pari opportunità, nonché all’esigenza che le commissioni giudicatrici siano composte da tecnici esperti nelle materie di concorso.

Il legislatore ha anche dettato limiti ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stabilendo per essi il termine massimo di tre anni.

Nella realtà però, non sempre si verifica il rispetto delle norme di legge che disciplinano la materia. Sicchè, si assiste a situazioni in cui perdura l’applicazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a fattispecie non rientranti nelle previsioni normative, come succede per esempio con i collaboratori a progetto, di qualifica non proprio altamente specialistica, che si riscontrano ancora nel pubblico impiego nell’ambito della Regione Sicilia come derivati dal lavoro socialmente utile, o ancora come alternativa al lavoro subordinato nelle ipotesi di nuove forme convenzionali tra enti in ordine alle quali continua la confusione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo.

 

Lucia Maniscalco

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