Disabili: integrazione prima, durante e dopo la scuola, come?

Letizia Pieri 19/10/15
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La riforma detta della “Buona Scuola” (legge 107/2015), tra le altre disposizioni, tiene in considerazione anche tematiche quali l’integrazione scolastica degli alunni disabili, l’organico dei posti di sostegno e il ruolo degli insegnanti di sostegno. Il riferimento è rispettivamente ai commi 75 e 181 della citata normativa: al primo comma viene preso in esame l’organico sul sostegno, senza tuttavia prevederne alcuna modifica rispetto alla vigente normativa; nel secondo, invece, alla lettera c) si evidenzia la necessità di rispettare il principio di integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap, con la raccomandazione di  favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, riconoscendo anche le diverse modalità di comunicazione (LEGGI ANCHE:  Stabilità 2016, scuola: oltre agli investimenti quali sono i tagli).

Ma è davvero così? Ce ne parla Giovanni Merlo, Presidente LEDHA e autore del volume “L’attrazione speciale”, in cui affronta la delicata questione su “Minori con disabilità: integrazione scolastica, scuole speciali, presa in carico, welfare locale”.

1) A tanti anni di distanza dalle leggi che hanno sancito il principio dell’integrazione scolastica dei disabili perché continua a tenere banco il dibattito sull’opportunità o meno, da parte delle famiglie con figli con handicap, di ricorrere alle scuole speciali, soprattutto nelle situazioni più gravi?

Il problema in questo senso è il vuoto legislativo che si è venuto a creare in Italia. Sino alla prima metà degli anni ’60, tutti i disabili venivano educati nelle scuole speciali e negli istituti con residenza notturna. La Legge n. 118/71, per prima, ha stabilito che anche gli alunni disabili dovevano adempiere l’obbligo scolastico nelle scuole comuni. Di fatto le scuole speciali si sono svuotate, ma è rimasto un buco nella normativa che ne ha consentito comunque la sopravvivenza. Si tratta, sì, di un fenomeno sottotraccia che non dovrebbe esistere, ma in realtà è un fenomeno tuttora ben presente.

Il nodo cruciale della questione riguarda, però, i percorsi che spingono le famiglie a optare per le scuole speciali. Il dato sorprendente è che nella maggior parte dei casi si tratta di scelte preventive, cioè che non avvengono sulla base di percorsi di integrazione scolastica precedentemente fallimentari, bensì sulla convinzione (in realtà infondata) che sussista un’incompatibilità tra le esigenze del disabile e le richieste del sistema-scuola.

Questo avviene, però, quando le famiglie sono lasciate sole nella gestione e nel sostegno sociale dei figli disabili. In questi casi l’idea di scegliere una scuola speciale coincide con una modalità di risposta da parte della famiglia alla evidente condizione di vuoto che si crea nella completa presa in carico del figlio disabile.

2) Una volta concluso il percorso scolastico, qual è il futuro di questi ragazzi. Funziona, sia dal punto di vista normativo che pratico, la loro integrazione lavorativa?

Le scuole speciali hanno l’obiettivo di facilitare l’inserimento lavorativo dei disabili, in realtà finiscono con il diventare le prime liste d’attesa per i servizi socio-assistenziali. Il problema del nostro sistema educativo è che continua a produrre una serie di aspettative di inclusione lavorativa e sociale che di fatto non vengono soddisfatte.

Alla base vi è l’idea, sempre più diffusa, di dover separare questa categoria sociale più debole dal resto della popolazione, innervando di conseguenza tutto il sistema dei servizi diurni che in tal modo finiscono con il produrre non più inclusione, ma semplicemente buona custodia. Lavorare per l’inclusione sociale, infatti, a differenza del lavorare per la cura, non è un’azione traducibile in una prestazione. Si viene così a trascurare tutto quello che è integrazione sociale ed inclusione occupazionale, ed ora se ne paga il conto.

3) Che opinione ha sulla Legge “Dopo di Noi”, alla luce anche del nuovo fondo (lo stanziamento ammonta a 90 milioni), previsto dalla manovra di Stabilità 2016, che verosimilmente dovrebbe accelerare l’iter di approvazione della medesima legge?

LEGGI ANCHE: Stabilità 2016: lotta alla povertà e tutela dei più deboli, come?

Mi preme evidenziare che in questo caso il nodo della questione non è tanto sulla legge “Dopo di Noi” dal momento che tutti i soggetti disabili sono tutelati costituzionalmente e lo Stato deve occuparsene. Il questione cruciale riguarda, piuttosto, le modalità con cui se ne occupa: il problema si chiama infatti istituto o residenza sanitaria.

Bisogna, al contrario, pensare di poter riuscire a garantire a tutte le persone con disabilità una vita più autonoma e indipendente. La stessa Convenzione Onu, all’articolo 19, punto 2, precisa che la finalità dei servizi sociali è proprio quella di evitare che i disabili vengano separati, e dunque di fatto estromessi, dalla società. Questa è la preoccupazione principale sulla quale deve basarsi la vera sfida del “Dopo di Noi”.

L’attrazione speciale

La storia che andiamo a raccontare è una storia fatta di assenze e presenze, di pesi e contrappesi, di frustrazioni e di speranze, di solitudini e di incontri. È la storia dei bambini che frequentano (ancora?!) le scuole speciali in Lombardia, ma è anche la storia dei loro genitori che hanno compiuto questa scelta. Un racconto dove lo sfondo risulterà avere la stessa importanza dei personaggi in primo piano. A partire dall’immagine di quelle scuole di tutti e per tutti che, evidentemente, così “per tutti” non sono. Un “paesaggio” in cui trova posto anche quell’insieme di servizi, sanitari e sociali, che dovrebbe garantire il benessere, la vita indipendente e la piena inclusione sociale di tutte le persone con disabilità. Una rete di servizi che risulta impotente e connivente di fronte alla separazione irreversibile di questi bambini e ragazzi dalla loro comunità di appartenenza. Impossibile non notare i vuoti: dove sono le associazioni? Dove sono le altre organizzazioni della società civile? Dove siamo tutti noi? Una storia silenziosa, dove le relazioni con “gli altri” (bambini, genitori, insegnanti, operatori) appaiono spesso difficili, impacciate. Un intreccio di situazioni in cui (colpo di scena?) la scuola speciale appare ai genitori, e forse anche ai bambini, come un porto sicuro, un rifugio accogliente e premuroso, dove trovare finalmente posto. Il posto dei disabili. Giovanni Merlo È direttore di LEDHA (Lega per i diritti delle persone con disabilità). Fa parte della redazione della rivista Welfare Oggi e collabora con il sito Lombardiasociale.it 

Giovanni Merlo | 2015 Maggioli Editore

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Letizia Pieri

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