Abolire la figura del segretario comunale e provinciale è rock o lento?

Angelo Capalbo 02/09/15
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Ecco riprendendo un testo di un monologo di Celentano vorrei riflettere su questa distinzione.

In questi ultimi mesi, si è a lungo dibattuto sugli effetti dell’ennesima riforma della pubblica amministrazione voluta dal Governo Renzi e dal Ministro Madia e sugli effetti nei confronti della dirigenza ed in particolare dei segretari comunali e provinciali.

Aggiungere altre riflessioni e sviluppare argomenti ermeneutici sulla recente legge delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (legge 7 agosto 2015, n. 124) appare un esercizio delicato e complesso, ma utile sia ad individuare le cause che gli effetti.

Non c’è dubbio che la pubblica amministrazione debba essere riformata ed adeguata a nuovi bisogni e alle esigenze della società. Possiamo concordare che è la madre di tutte le riforme e che debba avere una corsia preferenziale. Se ne discute da anni ed ogni tentativo di rinnovamento ha incontrato sulla sua strada limiti ed ostacoli.

Non sono tollerabili situazioni di eccessiva burocrazia, che si aprono a nuovi bisogni ed istanze dei cittadini. Se un cittadino che possiede la seconda casa in una località marina e nel cui comune si rivolge per richiedere il rinnovo della carta di identità non si può sentire rifiutare il rilascio del documento, perché in quel comune, per carenze del numero delle carte di identità, vengono rilasciate o rinnovate solo ai cittadini residenti.

È inaccettabile che un cittadino si rivolge all’ospedale per sottoporsi a cure e procurarsi, i farmaci che devono essere somministrati perché la struttura ospedaliera non ha sufficienti risorse per dotarsene.

D’altronde non è possibile intervenire solo sulla riorganizzazione della pubblica amministrazione, ma nelle istituzioni nel loro complesso, introducendo sistemi decisionali più snelli e veloci e coinvolgendo nelle scelte direttamente i cittadini. Il rinnovamento investe la classe dirigente nel suo complesso ed impone un accrescimento delle competenze e capacità decisionali. Le azioni politiche che interessano i nostri territori richiedono scelte consapevoli e responsabili, volti essenzialmente alla tutela della salute ed alla tutela del patrimonio storico – artistico e dell’ambiente. Si tratta di beni collettivi che non possono essere calpestati e assecondati dagli interessi dei singoli.

La riforma della PA introduce elementi di semplificazione e di contrazione dei tempi decisionali, che per alcuni procedimenti si rendeva necessario per garantire maggiore rapidità nell’esecuzione e gestione di progetti ed interventi pubblici. Tuttavia le esigenze di celerità degli interventi realizzati senza le opportune valutazioni sull’impatto nel territorio, potrebbero minare alla salute ed alla sicurezza dei cittadini, peraltro già compromesse, dal dissesto idrogeologico, come testimonia lo scempio di Rossano Calabro, a causa dell’alluvione nella notte tra l’11 ed il 12 agosto scorso.

Il tema della responsabilità e della buona politica devono viaggiare sullo stesso binario. Non sono abbastanza diffuse in Italia le buone pratiche negli appalti e nella gestione dei beni comuni.

È normale che in un Paese civile l’autorità di vigilanza sui contratti pubblici è la stessa autorità che vigila sui fenomeni della corruzione? Sono situazioni di emergenza che devono governare momenti particolari di una determinata epoca storica. Ebbene siamo ormai abituati a vedere fenomeni eccezionali e transeunti diventare norme cogenti e durature.

Ritenere di dover intervenire sulla dirigenza per rafforzare la responsabilità gestionale riducendo i controlli e ledendo le azioni di tutela non è la ricetta giusta per guarire i mali della pubblica amministrazione. Sono stati quindi individuate le carenze e le inefficienze del sistema, ma solo la dirigenza viene chiamata in causa. Eppure le responsabilità di questo sfracello sono solo della burocrazia che doveva ricevere un colpo di frusta come titola il quotidiano “Italia oggi” in un articolo del 5 agosto 2015.

D’altronde come interpretare diversamente la decisione di abolire la figura dei segretari comunali e provinciali se non nel senso della revisione dei sistemi di controllo e di superamento di ogni limite esterno nella scelta della figura di vertice dell’ente. Si profila così un nuovo sistema che vede in prospettiva maggiormente intrecciarsi la dirigenza con la politica. Storicamente i segretari comunali e provinciali sono stati considerati come soggetti pubblici “terzi” dipendenti dello Stato, Ente diverso da quello in cui si trovano ad operare, a tutela e protezione degli interessi dell’Ente in cui sono inseriti.

Se si esclude la parentesi del Governo Monti, con l’affidamento delle funzioni ulteriori di responsabile della prevenzione della corruzione, si è tuttavia assistito, negli anni, ad una tendenza che vede gradualmente attenuarsi la posizione di terzietà all’interno del comune o della provincia.

La legge n.124/2015 chiude definitivamente un epoca, abolisce la figura dei segretari comunali e provinciali ed attribuisce alla dirigenza le funzioni di attuazione dell’indirizzo politico, il coordinamento dell’attività amministrativa e controllo della legalità dell’azione amministrativa. Non sarà più quella figura con funzioni di assistenza giuridico – amministrativa nei confronti degli organi dell’ente, in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.

Il controllo del segretario secondo le attuali indicazioni del testo unico degli enti locali (d.lgs n. 267/99 – art. 97), si attua con funzioni di assistenza prevalentemente ex post con riferimento alla conformità dell’azione amministrativa, si occupa, per dirla con le interpretazioni della Corte dei conti, della protezione degli interessi dell’Ente locale.

Ora, con la legge delega, si attribuiscono generiche funzioni di controllo della legalità dell’azione amministrative. Si tratta di una locuzione tautologica e di scarsa rilevanza sul piano concreto. Non c’è dubbio che ogni azione amministrativa sia svolta nel rispetto delle procedure previste dalla legge e dai regolamenti. Ma chi verifica se all’interno della singola azione amministrativa si compiano atti illegittimi, che se non denunciati perpetueranno indisturbati i propri effetti? Non è chiaro se questo controllo sarà preventivo o successivo. Ad ogni modo difficilmente potrà essere un controllo puntuale e diretto su singoli atti. D’altro canto se assume funzioni di attuazione dell’indirizzo politico, maggiore ne diventa la dipendenza e poco spazio verrà riservato all’azione di controllo. Tanto meno si attuerà il controllo negli Enti di massima dimensione (città metropolitane e comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti) qualora, in alternativa al dirigente apicale, potrà essere nominato un direttore generale ai sensi dell’articolo 108 del d.lgs  n. 267 del 2000.

In un periodo transitorio non superiore a tre anni, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo adottato in attuazione della stessa legge delega n. 124 del 2015, negli enti privi del direttore generale, permane l’obbligo di conferire l’incarico di direzione apicale, agli stessi ex segretari comunali e provinciali, con compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa, direzione degli uffici e controllo della legalità dell’azione amministrativa. Ebbene, solo per la fase transitoria è previsto l’ulteriore compito della direzione degli uffici che a regime si esclude. Si tratta di mera dimenticanza o di una funzione che successivamente non sarà di competenza della direzione apicale. Propenderei per la prima ipotesi, per i motivi in cui si sono svolti i lavori parlamentari, in modo, scoordinato ed incoerente.

La legge delega n. 124/2015 accomuna le diverse nuove discipline relative ai ruoli della dirigenza, con riferimento all’inquadramento, all’accesso, al sistema della formazione, alla mobilità nei ruoli, al conferimento degli incarichi, alla durata degli incarichi (salva la disciplina particolare per gli ex segretari comunali e provinciali), alla disciplina della disponibilità per i dirigenti privi di incarico, alla valutazione dei risultati, alla responsabilità, alla retribuzione, alla disciplina transitoria, alla revoca e divieto di rinnovo in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in caso di sentenza di condanna per danno erariale per condotte dolose.

Con riferimento al conferimento dell’incarico si prevede l’istituzione di apposita commissione per ogni ruolo, a cui compete definire i criteri generali per gli incarichi nonché il concreto utilizzo del sistema di valutazione dei risultati. Su questo aspetto sussistono tuttavia forti dubbi in merito alla selezione dei componenti delle commissioni. Saranno pienamente assicurati i requisiti di indipendenza, terzietà, onorabilità, assenza di conflitti di interessi? Le procedure di nomina dei commissari si effettueranno con procedure trasparenti, sulla base di requisiti di merito ed incompatibilità? Sussistono seri motivi di temere che la scelta dei membri delle commissioni continui ad essere frutto di logiche politiche spartitorie e per nulla caratterizzate da requisiti di indipendenza.

 

Inoltre per gli iscritti all’albo nazionale dei segretari comunali e provinciali (con ulteriori particolari condizioni per gli iscritti nella fascia professionale C e per i vincitori dei concorsi ammessi al corso di accesso in carriera, alla data di entrata in vigore della legge delega) che confluiranno nell’albo unico della dirigenza locale sussistono differenziazioni in ragione delle dimensioni degli enti e della presenza negli stessi del direttore generale.

Tuttavia la legge non supera il limite della separazione del rapporto organico da quello funzionale, che da sempre è stato una caratteristica per la figura del segretario comunale e provinciale. Questi confluiranno nel ruolo unico degli enti locali, ma di quale ente fanno parte? Un ibrido che non trova soluzione nella legge delega.

In ordine ai criteri di nomina, non è chiaro se ai dirigenti apicali negli enti locali, si applica la procedura della preselezione, da parte dell’apposita commissione, di un numero predeterminato di candidati in base ai requisiti e criteri per gli incarichi relativi ad uffici di vertice. Per non incorrere in profili di incostituzionalità deve ritenersi che la figura di dirigente apicale sia equivalente ad ufficio di vertice, al cui incarico si accede, mediante preselezione. Tuttavia, profili di incostituzionalità si possono rilevarsi, tra gli altri, nella collocazione degli ex segretari, per le loro origini, nel ruolo degli enti locali, piuttosto di quello statale ed anche nella cessazione della funzione di direzione apicale, se non rinnovato entro novanta giorni dall’insediamento degli organi esecutivi.

Da più parti si sostiene che le norme introdotte dalla legge delega n. 124/2015, per i motivi esposti e la ratio sottesa, manifestano rilevanti profili di incostituzionalità che andrebbero eccepiti e rilevati. Come azionare indi un ricorso alla Corte Costituzionale? Per le prime cure, penso che il ricorso diretto, da parte delle singole Regioni, possa avere validità di successo, se non altro per la violazione all’autonomia politica ed organizzativa delle stesse. Il ricorso incidentale per poter essere azionato richiede, diversamente, l’instaurarsi di un giudizio, con l’impugnativa di singoli atti amministrativi lesivi di interessi legittimi di un singolo o di soggetto associativo portatore di interessi collettivi. Un’azione che si intravede comunque di concreta realizzazione. Il ricorso alla Corte costituzionale deve comunque derivare da una questione rilevante di manifesta fondatezza di incostituzionalità della legge n. 124/2015. D’altronde la stessa azione poteva essere esperita avverso l’attuale sistema di nomina, introdotto dalla legge n.127/1997 contiene scarse posizioni di tutela e di garanzia, ma non se ne fece nulla, dal momento che la stessa Corte costituzionale riconosce legittima la procedura di nomina, per gli organi di vertice.

Allo stato meglio sottoporre la legge a referendum abrogativo sostenendo le ragioni di un aggravamento della posizione prevaricatrice della politica nella scelta dei dirigenti chiamati ad assolvere con disciplina ed onore l’impiego pubblico, nel rispetto della tutela del buon andamento e dell’imparzialità della amministrazione. Solo in questo modo sarà possibile ottenere il consenso dei cittadini e sperare di ottenere la partecipazione necessaria per la validità del quesito referendario. Infatti, tra i cittadini non è pienamente conosciuto il ruolo del segretario comunale e le intervenute disposizioni normative che ne regolano la funzione. Nei cittadini è ancora diffusa la tendenza a riconoscere nel segretario comunale un funzionario dello Stato, da questo pagato per garantire il rispetto della legalità negli enti locali.

In definitiva, per rispondere al quesito del titolo e per le ragioni anzidette, l’abolizione dei segretari è lento e non si pone in concreto come misura risolutiva per una nuova ed efficiente pubblica amministrazione.

Tuttavia, in ogni caso, rimane il dato che i segretari comunali e provinciali hanno accettato ogni intervento normativo che lo hanno riguardato, come si troveranno a convivere con questo appena introdotto, come una sfida, con responsabilità e disciplina, sul principio che vuole accrescere la professionalità e competenza. Sono queste le armi che dovranno essere impugnate per affermare la posizione e le peculiarità dei segretari comunali, che sopravvivranno alla loro abolizione.

Angelo Capalbo

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