Italicum, oggi la fiducia. Il precedente della legge Acerbo-Mussolini

Scarica PDF Stampa
Ieri pomeriggio, in una selva di fischi e grida dalle varie opposizioni, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi ha annunciato in aula alla Camera che il governo avrebbe posto la questione di fiducia sull’Italicum, la nuova legge elettorale. Oggi ci sarà la chiamata decisiva sul testo del nuovo sistema di rappresentanza.

Si tratta, indubbiamente, di un atto molto forte e quasi inaudito nella consuetudine parlamentare, che non ha molti precedenti, se non ricorrendo a tempi, periodi e situazioni politiche molto lontane da quella attuale.

Non a caso, il primo paragone che salta alla memoria degli storici è proprio quello con la legge Acerbo, che il Parlamento ormai in mano a Mussolini approvò proprio con la questione di fiducia nel lontanissimo 1923.

Anche in virtù di questo antefatto poco incoraggiante, molti esponenti della minoranza non hanno esitato a dipingere i metodi del governo come “fascisti”. Tra i principali accusatori del premier Renzi, anche lo stesso Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia oggi fervente antirenziano, che però, nei mesi scorsi, aveva accordato convintamente il proprio appoggio alla riforma elettorale dell’Italicum.

Ora, invece, il premier appare quantomai abbandonato dalle opposizioni e, con la decisione del voto di fiducia, è arrivato allo strappo finale, che gli consentirà, se non altro, di chiarire il quadro all’interno del suo partito. Nel caso, infatti, in cui la minoranza dovesse schierarsi compatta per il no alla fiducia, anche se la legge riuscisse comunque a passare, si porrebbe una questione politica di non poco conto, che aprirebbe la strada per il voto.

La legge Acerbo di Mussolini

Nei primi mesi del regime fascista, il duce Mussolini sottopose il disegno di legge della nuova legge elettorale a una commissione di saggi, tra i quali figuravano ex presidenti del Consiglio come Giovanni Giolitti e Ivanoe Bonomi o uomini di levatura come Alcide De Gasperi, Antonio Salandra e Filippo Turati.

La legge Acerbo introduceva un premio di maggioranza per il partito che avesse superato il 25% dei voti, assicurando in virtù di questo risultati i due terzi dei seggi. La commissione, pur in seguito ad accese discussioni, rimandò il testo in Parlamento nel suo impianto originale. Quindi, lo scontro proseguì alla Camera, dove le opposizioni si schierarono a favore di un emendamento, poi stralciato, che avrebbe aumentato al 33% la soglia per l’ottenimento della maggioranza qualificata dei seggi.

Il governo guidato da Mussolini optò per la questione di fiducia, che passò alla Camera assieme al testo blindato. Infine, il Regio Senato ratificò la decisione presa a Montecitorio, approvando in via definitiva e senza rinvii la legge elettorale.

Ovviamente, avanzare paragoni di questo livello è nella responsabilità di chi ha pronunciato queste parole in aula. Non manca – tra allora e il presente – l’analogia del voto di fiducia, ma va tenuto conto che la legge Acerbo poneva un quorum assai più basso per la maggioranza per una maggioranza che oggi garantirebbe, al partito vincitore, di modificare la Costituzione senza neppure ricorrere al referendum confermativo.

Secondo la legge in discussione ora alla Camera, invece, il partito che superi il 40% dei voti finirebbe per aggiudicarsi 340 seggi elettorali, pari al 55%. Maggioranza assoluta sì, ma molto lontana da quote tali da mettere in pericolo il regolare svolgimento della dialettica democratica. Oltretutto, come ha notato il costituzionalista Stefano Ceccanti, non è possibile mettere sullo stesso piano legge Acerbo e Italicum, per la sola ragione che con l’avvento della Repubblica si è passati a un regime di Costituzione rigida assai lontana, per impostazione, dall’antico Statuto Albertino.

Certo, quella di porre la fiducia è una decisione che né Berlusconi votando il Porcellum, né altri prima di lui – con eccezione della legge Truffa del ’53 – avevano deciso di prendere in considerazione e di questo Renzi ne risponderà in prima persona al Paese  e agli elettori. Indubbiamente, con un simile atto il presidente del Consiglio ha sconfessato le parole della lettera inviata nei giorni scorsi ai rappresentanti del suo partito, invitandoli a votare a favore della legge per non disperdere la dignità del Pd. Una scelta grave che fa il paio con la decisione presa nei giorni scorsi di sostituire d’imperio dieci membri della commissione Affari costituzionali critici sull’Italicum. Insomma, la legge cardine del futuro ordinamento non è già uno strumento per instaurare la nuova dittatura, ma viene ridotta a regolamento di conti interno al partito di maggioranza, tema su cui i pregressi storici servono a poco. L’impressione è che, se davvero il Pd doveva perdere la dignità, anche in questo Renzi abbia deciso di fare da sè.

 

Francesco Maltoni

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento