Airbus caduto: forse quello del copilota non era bornout

Elena Tugnoli 27/03/15
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Il burnout o esaurimento nervoso è una sindrome che si sviluppa quando  il carico emotivo e cognitivo diventa insostenibile per l’individuo che non si sente più in grado di portare a termine ciò che fa solitamente in maniera efficace.

Questo stato porta ad una serie di emozioni intense di tristezza, ansia accompagnate da eccessiva preoccupazione. In questa fase spesso ci si allontana dal lavoro e si sceglie di dedicarsi a sé assecondando le richieste del  corpo e della mente fortemente stressati.  In alcuni casi la scelta è volontaria nel momento in cui si riconosce la difficoltà, in altri è la persona che inizia ad evitare la condizione lavorativa stressante valutandosi non in grado di fronteggiare lo stress, ma questo tipo di comportamento aumenta la sensazione di incapacità e il carico emotivo, quindi si crea un circolo vizioso che porta all’incremento dell’esaurimento e quindi ad una richiesta di aiuto necessaria.

Come questo possa  portare a commettere gesti estremi come quello che accaduto al pilota Andreas Lubitz dell’aereo Germanwings  è incomprensibile. Non si può dire che la pregressa depressione abbia portato a questo gesto, in parte perché non ci sono le informazioni sufficienti per legare i due eventi e in parte perché non sembra che il pilota riportasse recenti malesseri.

È vero però che il lavoro di pilota richiede grandissime capacità di fronteggiare lo stress come ad esempio la capacità di mantenere l’attenzione attiva e la concentrazione per molte ore di fila. È uno dei lavori considerati maggiormente stressanti,  ma Andreas Lubitz ha mostrato di aver superato moltissimi test dopo l’episodio di “depressione” dichiarato dai giornali.

Quindi cosa è successo?  Si può ipotizzare che ci fosse qualcosa che lui non mostrasse, una sofferenza rimasta dentro e celata, oppure si può ipotizzare che il raggiungimento del suo sogno da bambino, che era appunto quello di diventare pilota, l’avesse lasciato senza scopi, questo è un elemento da valutare.

Se ci si riflette, ognuno di noi ha degli scopi nella vita e nel momento in cui se ne raggiunge uno, quest’ultimo viene sostituito da uno nuovo, perché ciò che fa andare avanti è appunto il crescere, raggiunger obiettivi e investire sulla propria vita. Forse è a questo punto si è bloccato Andreas Lubitz.

Il rimanere senza scopi porta a fasi depressive, alla perdita della motivazione, al non riuscire a costruirsi un immagine di sé nel futuro. Questo è chiaramente doloroso e fa sentire incompetenti e vuoti. O forse la realizzazione del suo sogno gli ha impedito di vedersi capace in altri ruoli? Da quello che si legge dai giornali Andreas Lubitz era felice del raggiungimento del suo sogno, aveva anche una famiglia ed una fidanzata, e allora viene da chiedersi se forse gli altri obiettivi della sua vita, quelli affettivi, non fossero sufficienti. Questa paura di non vedere, immaginare, un possibile futuro o meglio sé stesso come capace in un possibile futuro potrebbe essere così invalidante da  portare a gesti estremi. Ma questa è solo una lettura diversa di una tragedia sia individuale che collettiva.

Rimane importante sottolineare che un episodio di burnout pregresso e risolto non sia un dato sufficiente per etichettare un uomo come “disturbato a livello psicologico” come è stato definito. E’ stato un episodio temporaneo che è stato affrontato e infatti poi Andreas Lubitz è stato reintegrato e ha potuto diventare il pilota che era, stimato e riconosciuto come bravo nel suo lavoro.

Quello che si può dire è che probabilmente c’era una sofferenza ma possiamo solo crearci delle ipotesi su quale potesse essere.

Elena Tugnoli

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