Una opportunità per gli avvocati: le nuove norme su arbitrato e “degiurisdizionalizzazione”

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Il presente articolo costituisce una sintesi di alcune riflessioni presenti nel volume di Andrea Sirotti Gaudenzi “Procedimento arbitrale e rapporti con il processo civile dopo la Legge 162/2014“, Maggioli Editore, 2015.

 

Come noto, il recente d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ha effettuato vari interventi volti alla «degiurisdizionalizzazione» del contenzioso. In particolare, la novella si presenta con l’obiettivo manifesto di incrementare il ricorso all’arbitrato, consentendo alle parti di “riversare” la vita giudiziaria della vertenza all’interno del procedimento arbitrale. Inoltre, si istituzionalizza la «negoziazione assistita», con un coinvolgimento diretto da parte degli avvocati.

L’art. 1 della novella prevede che la disciplina che consente il trasferimento alla sede arbitrale dei procedimenti pendenti dinanzi all’Autorità giudiziaria si possa applicare alle controversie che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili e che non vertano in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa non è stata assunta in decisione. La riforma è inoltre applicabile alle cause vertenti su diritti che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, quando il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale.

Sia consentito, tuttavia, esprimere forti perplessità per il fatto che si è negativamente colpiti per le modalità con cui la riforma è stata scritta. Infatti, con specifico riferimento all’arbitrato, si deve osservare che le scarne disposizioni (presenti in un solo articolo della novella) non aiuteranno gli esegeti nell’interpretazione della riforma, troppo entusiasticamente indicata come una operazione rivoluzionaria. Del resto, si ritiene che l’eventuale scelta a favore dell’arbitrato amministrato (o a quello regolamentato) avrebbe consentito una migliore gestione del percorso arbitrale che, come noto, appare irto di ostacoli. Basti pensare, per esempio, all’ipotesi in cui le parti ripropongano istanze e mezzi istruttori non ammessi in precedenza dall’Autorità giudiziaria. Inoltre, il fatto che la decisione di operare la cd. translatio iudicii avvenga sulla base di una «istanza congiunta», rimessa alla concorde volontà delle parti (già in lite tra loro), appare una formula decisamente inadeguata, che difficilmente produrrà numeri elevati in questo percorso che sembra frutto più di una operazione demagogica, che di una rivisitazione efficace dei presupposti che conducono ad una gestione del contenzioso in modo diverso da quello “tradizionale”.

L’art. 1 della riforma, come si è anticipato, consente alle parti il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria, con le modalità della cd. translatio iudicii, dato che, per espressa previsione normativa, rimangono ferme le prescrizioni e le decadenze intervenute.

In ragione della natura negoziale (del momento genetico) dell’arbitrato, le parti non possono che chiedere di attivare il procedimento arbitrale «con istanza congiunta», come prevede la norma stessa. Fanno eccezione le controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, nei casi in cui sia parte del giudizio una pubblica amministrazione. Infatti, il consenso di questa alla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dalla sola parte privata si intende in ogni caso prestato, «salvo che la pubblica amministrazione esprima il dissenso scritto entro trenta giorni dalla richiesta».

Naturalmente, la novella intende dare impulso al ricorso all’arbitrato, pur non potendo sovvertire la base negoziale della disciplina. Il secondo comma dell’art. 1 della novella prevede che il giudice, rilevata la presenza di una istanza congiunta presentata nel corso di un giudizio in tema di diritti disponibili, «ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la corte di appello per la nomina del collegio arbitrale per le controversie di valore superiore ad euro 100.000 e, ove le parti lo decidano concordemente, di un arbitro per le controversie di valore inferiore ad euro 100.000».Gli arbitri debbono essere «individuati, concordemente dalle parti o dal presidente del Consiglio dell’ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni all’albo dell’ordine circondariale che non hanno subito negli ultimi cinque anni condanne definitive comportanti la sospensione dall’albo e che, prima della trasmissione del fascicolo, hanno reso una dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso».

La legge di conversione ha previsto una specifica ipotesi di incompatibilità. Infatti, la funzione di consigliere dell’ordine e l’incarico arbitrale previsti dalla novella sono incompatibili.

Tale incompatibilità si estende anche per i consiglieri uscenti per una intera consiliatura successiva alla conclusione del loro mandato. Inoltre, il comma 5 bis della novella prevede che, con decreto da adottarsi da parte del Ministero della giustizia, siano «stabiliti i criteri per l’assegnazione degli arbitrati tra i quali, in particolare, le competenze professionali dell’arbitro, anche in relazione alle ragioni del contendere e alla materia oggetto della controversia, nonché il principio della rotazione nell’assegnazione degli incarichi, prevedendo altresì sistemi di designazione automatica».

La forma dell’arbitrato indicata dalla norma (a dir il vero, assai carente sotto l’aspetto della costruzione sistematica della disciplina) sembra essere quella dell’arbitrato ad hoc rituale. Del resto, è la stessa norma a chiarire che «il lodo ha gli stessi effetti della sentenza». L’espressione «lodo» e il riferimento agli «effetti della sentenza» dovrebbero consentire di fugare ogni dubbio in tema. Tuttavia, non si offrono specifiche disposizioni in ordine alla possibilità per le parti di decidere di regolamentare il procedimento arbitrale con una convenzione arbitrale. In sostanza, si fa riferimento ad una «istanza congiunta» formulata dalle parti (che, quindi, devono essere in totale sintonia tra loro sul punto), senza che si indichi il contenuto di quest’ultima e omettendo ogni riferimento alla convenzione arbitrale che, come noto, è alla base della nascita di qualsiasi procedimento arbitrale (sul punto, sia consentito richiamare i capitoli I e III del mio recente volume «Procedimento arbitrale e rapporti con il processo civile dopo la Legge 162/2014»). Inoltre, il tenore della norma sembra riferirsi all’ipotesi classica di arbitrato con due sole parti, senza che si prenda in considerazione il caso in cui ci si trovi di fronte ad una lite che veda più di due centri di interesse. Si evidenzia, pertanto, l’assenza di una soluzione veramente convincente applicabile alle ipotesi di «arbitrato multiparte», lasciando una serie di nodi irrisolti. Infatti, l’individuazione di un soggetto terzo (il presidente dell’Ordine forense) quale soggetto che nomina gli arbitri in caso di disaccordo tra le parti può essere una buona soluzione, ma la norma non spiega cosa possa accadere in caso di disaccordo (parziale) su alcuni dei nomi.

Inoltre, a modesto avviso di chi scrive, appare inopportuna la preferenza accordata dal compilatore della norma a favore del collegio arbitrale pluripersonale, essendo indicata come residuale l’ipotesi a favore dell’arbitro unico. In buona sostanza, la riforma impone alle parti (o, rectius, a tutte le parti) di essere d’accordo su tutti gli aspetti del percorso arbitrale che si svilupperà, senza considerare che chi si trova dinanzi ad un’autorità giudiziaria ha probabilmente già tentato percorsi negoziali i cui fallimenti hanno (forse) contribuito ad acuire lo scontro tra le parti della lite.

Pertanto, appare fondamentale il ruolo dei procuratori delle parti nell’àmbito della scelta di effettuare lo “spostamento” del contenzioso dalle aule dei palazzi di giustizia alle sedi arbitrali. E, ancor più rilevante sarà il ruolo dell’avvocatura chiamata ad offrire arbitri competenti nel percorso delineato dalla riforma.

 

Andrea Sirotti Gaudenzi

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