Jobs Act: nuovo contratto a tutele crescenti

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Approvati dal Consiglio dei Ministri i primi due decreti attuativi della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 recante disposizioni in materia di riforma del lavoro (c.d. JOBS ACT). I decreti si riferiscono al contratto a tutele crescenti e articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e riforma degli ammortizzatori sociali. I provvedimenti passeranno alle commissioni parlamentari  competenti per materia per la valutazione, che daranno un parere non vincolante, salvo poi ritornare al Consiglio dei Ministri per l’approvazione finale.

Vediamo nello specifico le novità in materia di contratto a tutele crescenti e articolo 18.

La nuova tipologia contrattuale si applica ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e ai dipendenti di partiti e sindacati, esclusi in precedenza dalle tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale, secondo l’articolo 2 del decreto, il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore e il pagamento di un’indennità equivalente all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino alla data del reintegro, dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione. L’indennizzo non può essere comunque inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto. Tuttavia, se il dipendente entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro, non riprende l’attività lavorativa , il rapporto si intende definitivamente risolto. Spetta inoltre al datore di lavoro il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Le stesse disposizioni si applicano ai licenziamenti collettivi (articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223) intimati senza l’osservanza della forma scritta.

Il lavoratore, oltre al risarcimento del danno, ha inoltre la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione alla reintegrazione, il riconoscimento di un’indennità equivalente a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale maturata, non soggetta a contribuzione previdenziale.

>Nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, giustificato motivo soggettivo e giusta causa (articolo 3 del decreto), in cui venga accertata la mancanza dei presupposti, il giudice decreta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità equivalente a 2 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. L’indennità deve essere compresa tra 4 e 24 mensilità, oltre a non essere soggetta a contribuzione previdenziale. Ciò vale anche per i licenziamenti collettivi intimati in violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12 o dei criteri di scelta di cui all’artidolo 5, comma 1, della Legge n. 233 del 1991.

In relazione alla cessazione del rapporto per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, ove venga direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale addebitato al lavoratore, il giudice annulla il licenziamento ordinando il reintegro del lavoratore oltre che il pagamento di un’indennità a titolo di risarcimento, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative e maggiorata di quanto lo stesso avrebbe potuto percepire se avesse accettato una congrua offerta di lavoro. Ad ogni modo, l’indennità non può essere superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è obbligato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Anche in questo caso, il dipendente può chiedere, in alternativa al reintegro, l’indennità di cui sopra (articolo 2, comma 3 del decreto).

Quanto alle ipotesi di licenziamento intimato in violazione del requisito di motivazione ex articolo 2, comma 2, Legge n. 604/1966 e articolo 7 Legge n. 300/1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. In ogni caso l’indennità non può essere inferiore a 2 mensilità e non superiore a 12, salvo una diversa previsione del giudice, il quale ha facoltà di prevedere l’applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del decreto.

Il datore di lavoro, tuttavia, può revocare il licenziamento entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione di impugnazione dello stesso e il rapporto di lavoro si considera ripristinato senza soluzione di continuità.

La norma prevede inoltre la possibilità di avviare un tentativo di conciliazione, attraverso il quale il datore di lavoro ha facoltà di offrire al dipendente una somma risarcitoria, non rientrante nei redditi assoggettati a IRPEF e non soggetta a contribuzione previdenziale, equivalente ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale, moltiplicata per ogni anno di servizio, da corrispondere mediante assegno circolare; in ogni caso, non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità. Il lavoratore che accetta l’assegno, rinuncia ad impugnare il licenziamento.

Ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo da corrispondere al lavoratore, gli anni di anzianità all’interno dell’azienda si contano considerando le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni equivalenti ad un intero mese. Ancora, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa subentrante in un appalto, si computa tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

Per le imprese che occupano fino a 15 dipendenti l’indennizzo previsto dalla norma è dimezzato e non può superare il limite delle sei mensilità.

L’articolo 11 del decreto prevede l’istituzione, presso l’INPS, del Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria, cui spetta il compito di erogare al lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o attraverso la procedura del licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223, tramite i Centri per l’impiego territorialmente competenti, un voucher che consente allo stesso dipendente di sottoscrivere un contratto di ricollocazione con un’agenzia per il lavoro pubblica o privata accreditata. Il contributo è subordinato al completamento della procedura di definizione del profilo personale di occupabilità, secondo le previsioni del D.Lgs. attuativo della legge delega 10 dicembre 2014 n. 183.

Il contratto di ricollocazione prevede:

• il diritto del lavoratore ad una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione da parte dell’agenzia per il lavoro;

• il diritto del lavoratore alla realizzazione da parte dell’agenzia stessa di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;

• il dovere del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l’agenzia nelle iniziative da essa predisposte.

Vincenzo Frandina

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