Toto Quirinale: perché tutti gli indizi portano a Mario Monti

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Archiviati, in pochi giorni, sia la legge di stabilità 2015 che il Jobs Act, con il doppio successo portato a casa dal premier Matteo Renzi – non senza affanni e qualche ricordo di troppo al voto di fiducia – ora la politica ha le bocce ferme. Ma è proprio quando tutto sembra in stallo che, nell’agone, prendono forma le future mosse. E la prossima scadenza è di quelle che segnano un’epoca, sia all’interno del palazzo che fuori: tra pochi giorni, infatti, si dovrà eleggere il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale.

Ormai non ci sono più dubbi: lo confermerà lo stesso presidente in carica nel discorso di fine anno. Soprattutto l’età avanzata, ma anche la convinzione di aver avviato un percorso di riforme, fanno ritenere al Capo dello Stato che questo sia il momento migliore per passare il testimone.

Così, viene indicata come data probabile delle dimissioni del primo presidente rieletto della storia repubblicana il prossimo 14 gennaio 2015. A distanza di quasi nove anni dalla data della sua elezione al Colle, così, va per chiudersi la lunga fase che ha visto il primo ex Pci salire al Quirinale nell’ormai lontano 2006.

Dal momento in cui si è diffusa la voce dell’addio imminente di Napolitano, è partito un totonomi mai così acceso. La lunga epoca che va per chiudersi, infatti, implica un radicale cambio di scenario, qualunque sia il nome che i partiti decideranno di issare al vertice della nostra Repubblica.

Nelle scorse settimane, sono stati proposti i nomi più fantasiosi assieme a qualche cavallo – azzoppato – di ritorno. Chi scrive, non ha fatto mistero di vedere bene un personaggio come Roberto Benigni come nuovo Presidente della Repubblica. Altri nomi che hanno circolato sono stati il maestro Riccardo Muti, il presentatore televisivo Piero Angela, più qualche rappresentante più vicino al sistema politico, come l’evergreen Emma Bonino o l’intramontabile Romano Prodi.

A nostro avviso, però, il treno del Professore è passato nel 2013, quando il partito di cui è fondatore ne acclamò la candidatura con una standing ovation, salvo impallinarlo, poche ore più tardi, con i famosi 101 franchi tiratori – che oggi è risaputo, furono costituiti da una melassa di dalemiani, popolari e ultrarenziani – che ne bloccarono l’ascesa al Colle.

Chi sarà allora, presidente della Repubblica fino al 2022? Come al solito, la politica assai difficilmente farà spazio a un nome fuori dal proprio recinto. Dovrebbero registrarsi parecchi scrutini a vuoto perché i partiti possano finire a guardare fuori dalla propria orbita. Ma questo, il premier Renzi lo ha dichiarato a più riprese, non è nelle previsioni. La partita del Quirinale, per quanto delicata, si chiuderà in fretta: questo è l’auspicio del presidente del Consiglio.

Allora, chi potrebbe avere le credenziali per succedere a Giorgio Napolitano? Di Prodi – che resta in campo – abbiamo già detto, mentre sembrano meno praticabili altre piste che portano a Stefano Rodotà – anche lui, bruciato nel 2013 – o i più giovani, ma caratterizzati politicamente, Dario Franceschini e Pier Ferdinando Casini.

monti

In queste ore, con nomi che si accavallano e si contendono i titoli dei giornali, tutti sembrano essersi dimenticati di un serissimo candidato, che potrebbe avere il profilo giusto per ottenere l’investitura da larga parte dei mille grandi elettori. Stiamo parlando di un altro professore, anche’egli ex presidente del Consiglio e con ampi trascorsi europei: non Romano Prodi, ma Mario Monti, che risponderebbe all’identikit del nuovo Capo dello Stato per diverse ragioni.

Può avere l’ok di Berlusconi. Nessuno sa con certezza se nel famoso patto del Nazareno c’è anche una postilla sul nuovo presidente della Repubblica. Ma le recenti aperture di Berlusconi – che ha escluso dei “no” a prescindere anche su nomi Pd – renderebbero il punto di accordo su Monti molto più agevole che su Prodi o altri, i quali costringerebbero Renzi a giocare sulla difensiva, obbligandolo a dare garanzie dagli sviluppi imprevedibili per il suo governo. Meglio, dunque, puntare su uno come Monti, che non chiederà particolari sforzi di convincimento al Cavaliere né metterà sul piatto scomode contropartite.

La maggioranza. Obiettivo del governo nell’elezione del nuovo Presidente, è infatti quello di ottenere il più vasto consenso possibile attorno al suo nome. Ebbene, Mario Monti potrebbe addirittura essere eletto al primo scrutinio: attorno al suo nome, non è fantascienza immaginare il benestare di Pd, Forza Italia, Scelta civica e Udc. Solo con questo blocco, l’ex premier potrebbe contare con 756 voti a favore, oltre i tre quarti necessari alle prime tre sessioni. Restano esclusi l’incognita Sel – che potrebbe anche convincersi – e l’opposizione netta di Lega Nord e Movimento 5 Stelle, ma residuale se si considera che Napolitano nel 2013 venne rieletto con 738 preferenze.

L’alternanza. Tra le principali richieste del polo avverso al Partito democratico, c’è quella di sostituire un laico con un cattolico, che non sale al Quirinale dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro. Monti potrebbe sopperire anche a questa richiesta, risultando gradito anche alle schiere più progressiste, non avendo mai assunto, comunque, profili di integralismo sulle tematiche sensibili.

E’ un liberale. A un ex Pci, logica vorrebbe che finisca per succedere un moderato. Altro campo in cui il professore della Bocconi non ha certamente molti rivali in grado di offuscarlo.

E’ fuori scena. Se non si fosse candidato alle elezioni politiche con il fallimento di Scelta civica, oggi Monti potrebbe già essere presidente della Repubblica. L’entrata in campo, lo ha reso per un breve periodo uomo di parte, e ne ha escluso a priori la candidatura. Anche lui, dopo lo shock dei 101 antiprodi, partecipò alla processione che invocò la disponibilità a Napolitano per il secondo mandato. Da un anno a questa parte, Monti ha capito la lezione: non ricopre più incarichi nel partito e se ne sta bene in disparte, senza troppe apparizioni sui giornali o in tv.

E’ gradito all’Europa. Senza dubbio, si tratta dell’aspetto più controverso della sua possibile elezione. Come potrà Renzi giustificare all’opinione pubblica un presidente così gradito alla Germania e in particolare ad Angela Merkel? A ben vedere, però, questo governo si sta dimostrando – timidamente – antieuropeista solo nelle parole. Così, un Monti sul Colle potrebbe consentire a Renzi di continuare a parlare male dell’Ue, comportandosi da studente modello nelle sue visite a Juncker e soci. Altro particolare da non sottovalutare: a marzo le istituzioni europee dovranno pronunciarsi definitivamente sulle manovre recenti del governo, in primis la legge di stabilità. E con Mario Monti al Quirinale, l’ok di Bruxelles diventerebbe, di colpo, una formalità.

Francesco Maltoni

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