Province: il presidente assorbe le competenze della soppressa giunta

Luigi Oliveri 01/10/14
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La pessima qualità della “legge Delrio” sulle province non è confermata solo dalla circostanza che nessun risparmio da essa derivante è stato sin qui né quantificato, né previsto nelle manovre di finanza, ma dai problemi che sta subito creando, l’indomani stesso della sua prima applicazione dovuta alle prime “nuove” elezioni.

Infatti, decadono i vecchi organi, presidente della provincia, giunta e consiglio provinciale, e subentrano i nuovi: presidente della provincia, consiglio provinciale ed assemblea dei sindaci.

Salta immediatamente all’occhio che la legge 56/2014 ha eliminato la giunta. Ma, purtroppo, proprio a causa della sua pessima fattura, non si è curata di precisare quale sarebbe l’organo chiamato a svolgerne le funzioni, tra i tre indicati prima.

Le indicazioni derivanti dalla legge sono, allo scopo, pochissimo utili. Vediamo come vengono sommariamente descritte le competenze degli organi dall’articolo 1, comma 55:

  1. assemblea dei sindaci: costituita dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia:
    1. ha poteri propositivi, consultivi e di controllo secondo quanto disposto dallo statuto;
    2. adotta o respinge lo statuto proposto dal consiglio e le sue successive modificazioni con i voti che rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella provincia e la maggioranza della popolazione complessivamente residente;
    3. esprime il parere sullo schema di bilancio adottato dal consiglio;
  2. consiglio provinciale: organo di indirizzo e controllo:
    1. propone all’assemblea lo statuto,
    2. approva
      1.          i.      regolamenti,
      2.          ii.      piani,
      3.          iii.      programmi;
      4.          iv.      approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal presidente della provincia;
    3. esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto.
    4. su proposta del presidente della provincia, adotta gli schemi di bilancio da sottoporre al parere dell’assemblea dei sindaci. A seguito del parere espresso dall’assemblea dei sindaci con i voti che rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella provincia e la maggioranza della popolazione complessivamente residente, il consiglio approva in via definitiva i bilanci dell’ente.
  3. presidente della provincia:
    1. rappresenta l’ente,
    2. convoca e presiede il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci,
    3. sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti;
    4. esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto;
    5. propone al consiglio lo schema del bilancio;
    6. può nominare un vicepresidente, scelto tra i consiglieri provinciali, stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione al consiglio (comma 66);
    7. può altresì assegnare deleghe a consiglieri provinciali, nel rispetto del principio di collegialità, secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto (comma 66).

Come si nota, mentre la legge 56/2014 traccia un quadro della ripartizione delle competenze degli organi di governo altamente confusionario, non fornisce alcun aiuto per risolvere il problema dell’esercizio delle competenze della giunta soppressa.

Tale giudizio potrebbe essere messo in discussione, laddove si intendesse che gli estensori della legge avessero inteso attribuire allo statuto provinciale il potere di dirimere la questione, assegnandogli il potere di determinare le competenze degli organi.

Si nota, infatti, che sia con riferimento al consiglio provinciale, sia con riferimento al presidente della provincia, la scarna e confusa elencazione delle competenze contenuta nella legge 56/2014 si completa con la formula di stile secondo la quale ciascuno di questi organi “esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto”.

Dunque, si potrebbe ritenere che il problema posto, cioè quale tra i tre organi provinciali indicati dalla legge 56/2014 eserciterà le funzioni della soppressa giunta, debba trovare soluzione nello statuto.

Ma, tale soluzione, per un verso non appare corretta, per altro verso non sarebbe del tutto risolutiva.

In merito alla correttezza, non si può fare a meno di osservare che la legge 56/2014 si innesta nella disciplina degli enti locali fissata dal d.lgs 267/2000, senza abolire le norme che questo dedica alla disciplina ordinamentale. Pertanto, in primo luogo occorre vedere come armonizzare le due norme e solo laddove quella più recente risulti in contrasto con quella più datata, allora è possibile ipotizzare l’abolizione implicita.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia relativa a “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

Trattandosi di riserva di legge esclusiva, anche a voler concedere che la legge 56/2014 l’abbia esercitata demandando allo statuto la possibilità di fissare competenze degli organi di governo non precisate da essa stessa, non si potrebbe concludere che per l’incostituzionalità di questa chiave di lettura. Un’interpretazione costituzionalmente orientata, invece, impone di leggere i riferimenti allo statuto contenuti nel comma 55 dell’articolo 1 della legge 56/2014 non come attribuzione allo statuto stesso del potere di determinare le competenze degli organi, ma solo di “specificarle”, così da allineare tale norma a quanto prevede l’articolo 6, comma 2, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “lo statuto, nell’ambito dei princìpi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi […]”.

Lo statuto locale, in particolare vigente il visto articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, non può “attribuire” competenze agli organi di governo, ma solo “specificare” competenze già attribuite, necessariamente dalla legge dello Stato, fonte unica ed esclusiva di tale materia.

E’ davvero grave che agli estensori della riforma Delrio sia sfuggito questo aspetto, sicchè per comprendere come sono ripartite le competenze dei nuovi organi provinciali occorre risalire con difficoltà ai principi ed alle norme, cercando di diradare i fumi della confusione e superficialità del testo normativo.

Ma, anche laddove fosse davvero lo statuto la fonte dell’attribuzione delle competenze, il problema dell’assegnazione di quelle spettanti alla soppressa giunta non sarebbe risolto, bensì solo rinviato, anzi demandato allo statuto. Tale atto non potrebbe che regolare questo aspetto, comunque, alla luce dei principi normativi vigenti, posti dal d.lgs 267/2000, nonché, in parte, anche dal d.lgs 165/2001. Non c’è da nascondere, comunque, il pericolo che laddove prevalesse la teoria secondo la quale è lo statuto a decidere sul merito, ci si ritroverebbe con 100 diversi modi di regolare le competenze provinciali: cosa che né valorizza l’autonomia locale, né aiuta alla semplificazione e alla chiarezza, ma, al contrario, crea solo un caos inestricabile.

Escluso, dunque, che lo statuto possa essere la soluzione al problema e preso atto che, comunque, detta soluzione non può che reperirsi nell’ambito del d.lgs 267/2000 e del d.lgs 165/2001, esaminiamo le 4 ipotesi alternative sulla questione concernente l’esercizio delle competenze della soppressa giunta.

La prima, riguarda l’eventualità che ad assumersi tali competenze sia l’assemblea dei sindaci. Detta soluzione appare subito e facile da scartare. L’articolo 1, comma 55, delinea la competenza dell’assemblea dei sindaci come un’elencazione certamente limitata e tassativa. L’assemblea non può che svolgere le poche ed enumerate attribuzioni previste, mancando addirittura anche la previsione (costituzionalmente accettabile solo come ricostruita sopra) che lo statuto possa assegnarle altre “attribuzioni”.

D’altra parte, l’assemblea dei sindaci sarebbe un organo troppo ridondante (i comuni dei territori provinciali sono mediamente un’ottantina) per poter svolgere il lavoro di sovrintendenza operativa e gestionale proprio della giunta. Per altro, è inimmaginabile che decine di sindaci possano sottrarre il tempo alla cura ed alle responsabilità dei loro comuni: già sarà un’impresa ardua lo svolgimento del compito del presidente della provincia, che dovrà necessariamente dividersi con la funzione di primo cittadino di un comune provinciale.

La seconda ipotesi, che balena in qualche chiave di lettura, è che le funzioni della giunta ricadano sulla dirigenza, anche considerando la “vicinanza” tra le due, attestata da un ampio e storico contenzioso sulla corretta attribuzione delle competenze gestionali.

Tuttavia, questa soluzione è totalmente da scartare. Tra le principali competenze della giunta, come descritta dal d.lgs 267/2000, vi è quella della definizione del piano esecutivo di gestione e del programma dettagliato degli obiettivi, atti che sono alla base dell’avvio del ciclo della performance e fondamentali per l’indirizzo gestionale operativo e l’esplicazione della successiva fase di controllo dell’attività svolta.

Se questi compiti ricadessero sulla dirigenza, non vi sarebbe più alterità tra indirizzo e controllo, da un lato, e gestione dall’altro.

Risulterebbero, dunque, palesemente violati:

a)      l’articolo 4, commi 1 e 2, del d.lgs 165/2001:

1. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:

a) le decisioni in materia di atti normativi e l’adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;

b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione;

c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-fmanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;

d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;

e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;

f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;

g) gli altri atti indicati dal presente decreto.

2. Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”.

L’articolo 107, comma 2, del d.lgs 267/2000: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”.

La combinazione di tali disposizioni di principio, rende immanente ed inviolabile il principio di separazione delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo da quelle di gestione. Sicchè è necessariamente da scartare l’idea che le competenze della giunta possano essere attribuite alla dirigenza.

La terza ipotesi, allora, è quella secondo cui sia il consiglio provinciale l’organo che subentri nella giunta, nell’esercizio delle funzioni di questa.

L’ipotesi appare, tuttavia, da scartare decisamente. L’articolo 1, comma 55, restringe frettolosamente l’elencazione delle competenze del consiglio, puntando sulla funzione di “completamento” incostituzionalmente assegnata allo statuto, che, invece, come visto sopra, può solo specificare le funzioni, ma non attribuirle.

Ora, l’articolo 1, comma 55, della legge 56/2014 non appare in contrasto con l’articolo 42 del d.lgs 267/2000; al contrario, può certamente armonizzarsi con esso. Ciò porta a ritenere che l’articolo 42 del d.lgs 267/2000, non espressamente abolito per le province, sia ancora vigente e che, dunque, le competenze consiliari provinciali non siano esclusivamente fissate dall’articolo 1, comma 55, della legge 56/2014 (per altro priva di ogni requisito di lex specialis), ma da questo in combinazione con l’articolo 42 del d.lgs 267/2000.

Di conseguenza, il consiglio provinciale finirebbe per mantenere sostanzialmente la sua architettura funzionale, senza poter assumere le funzioni più operative, proprie della giunta. D’altra parte, l’articolo 1, comma 55, della legge 56/2014 conferma che il consiglio è “organo di indirizzo e di controllo”, esattamente come l’articolo 42, comma 1, del d.lgs 165/2001.

Il consiglio, dunque, non può che continuare a svolgere la funzione di indirizzo e controllo di natura generale e di respiro pluriennale: infatti, approva i bilanci (sia pure con la farraginosa procedura introdotta dalla riforma), i regolamenti, i piani ed i programmi. E’ così che svolge l’indirizzo. Il controllo avviene, sul piano politico amministrativo, verificando che la gestione operativa sia rispettosa degli obiettivi generali posti con gli atti di indirizzo.

Se, allora, il consiglio assorbisse le funzioni di indirizzo operativo (non generale) della giunta, connesse non al mandato, bensì al singolo anno finanziario e alla sovrintendenza diretta della gestione, finirebbe per coincidere col ruolo di indicizzatore-controllore e controllato.

Da questo punto di vista, anche si potesse espandere l’elenco delle funzioni consiliari tramite lo statuto, questo non potrebbe comunque assegnargli attribuzioni così palesemente illegittime, per conflitto di competenza e confusione delle funzioni.

Resta, allora, l’ipotesi secondo cui sia il presidente l’organo che fa proprie le competenze della soppressa giunta. Questa non può che essere l’unica corretta conclusione. Vediamone le ragioni.

L’articolo 1, comma 55, della legge 56/2014 ad esempio, prevede espressamente che sia il presidente della provincia dotato della competenza di proporre al consiglio lo schema del bilancio di previsione: questa è da sempre una competenza tipica della giunta, che il legislatore, come si nota, trasla direttamente ed esplicitamente dal soppresso organo “esecutivo collegiale” all’organo “esecutivo monocratico”, quasi a segnalare che l’organo “esecutivo”, nelle province, sarà, appunto, solo ed esclusivamente il presidente, subentrato alla soppressa giunta.

Ma, guardiamo all’articolo 48 del d.lgs 267/2000, che, per quanto ormai inapplicabile alle province dopo la loro riforma, esprime principi organizzativi molto chiari. Il comma 1 di tale norma dispone: “La giunta collabora con il sindaco o con il presidente della provincia nel governo […]”. Sebbene prevalga in molti l’impressione che la giunta e gli assessori dispongano di un’organizzazione di tipo “ministeriale” (assessori organi monocratici, assessorati ripartizioni autonome, giunta organo di sintesi), in realtà è dalla legge 142/1990 che gli assessori hanno perso ogni connotazione da “ministro” e la stessa configurabilità come organi, e che la giunta è solo ed esclusivamente un supporto per il vertice monocratico. Infatti, come afferma la norma, la giunta “collabora” nel governo. Per altro, a tale scopo, lo può fare solo collegialmente, sicchè l’articolo 48 del d.lgs 267/2000 esclude la qualificabilità del singolo assessore come organo.

Dunque, laddove esista l’organo di collaborazione, il vertice monocratico se ne avvale; laddove, invece, come nel caso delle province, detto organo di collaborazione sia soppresso, il vertice monocratico ne fa a meno e assume integralmente su di sé il governo.

D’altra parte, la giunta è stata fin qui qualificata dalla legge come organo a competenza “generale e residuale”, chiamato a svolgere le funzioni non riservate alla dirigenza in applicazione del principio di separazione visto sopra, e non attribuite espressamente al consiglio e al presidente della provincia.

Sicchè, una volta soppressa la giunta, verificato, come sopra, che le sue competenze non possono rientrare nella sfera dell’assemblea dei sindaci, della dirigenza e del consiglio provinciale, non possono che accedere, espandendola, alla sfera di competenza del presidente della provincia, che, dunque, le assorbe.

Così, allora, si spiega la possibilità data allo statuto di regolare eventuali deleghe che il presidente conferisca ai consiglieri provinciali: dato l’evidente ampliamento delle responsabilità del presidente e delle sue funzioni, si consente allo statuto di introdurre un sistema per “sgravare” in qualche misura l’attività del presidente.

Poiché i delegati, tuttavia, appartengono al consiglio, organo di indirizzo e controllo, e poiché la giunta è stata soppressa, le deleghe non potranno avere l’effetto:

a)      di “creare” assessori-organi, con poteri di impegno dell’ente verso l’esterno; se così fosse, i consiglieri delegati avrebbero addirittura poteri maggiori degli assessori comunali;

b)      di ricostituire un organo, la giunta, espressamente soppresso dalla legge; si tratterebbe di una chiara violazione, operata, per altro, dallo statuto, privo, per effetto del più volte citato articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, della competenza di determinare le attribuzioni degli organi degli enti locali;

c)      di adottare provvedimenti al posto del presidente delegante; se così fosse, alcuni componenti del consiglio disporrebbero del privilegio di concentrare in sé funzioni di indirizzo e controllo, con funzioni di indirizzo operativo, determinandosi quella stessa confusione e quel medesimo conflitto di interessi che impedisce al consiglio di assorbire le competenze della giunta.

I consiglieri delegati, pertanto, non potendo adottare provvedimenti aventi efficacia esterna, possono solo coadiuvare, come sistema di organizzazione interno, il presidente nella sua funzione di indirizzo e sovrintendenza, per esempio impartendo direttive rispettose dei vincoli posti dalla programmazione operativa, seguendo le fasi di proposizione dei provvedimenti, aiutandolo nel “contatto” con gli uffici e con l’esterno.

Non si può fare a meno di sottolineare che di fatto la legge 56/2014 potenzia di molto le responsabilità e funzioni del presidente, proprio mentre in qualche modo crea un presidente della provincia “part time”, visto che sarà anche un sindaco, e impone la gratuità della funzione.

In ogni caso, sebbene le conclusioni qui tratte siano da considerare le uniche corrette ed in armonia con l’ordinamento, è evidente che i problemi sono aperti e resteranno sul tappeto per molto tempo, tanto da non potersi escludere l’insorgere di un nutrito contenzioso sul tema. A conferma che la semplificazione dell’ordinamento, contrariamente a quanto affermato dalla propaganda che ha accompagnato la legge 56/2014, le è totalmente estranea e che la riforma Delrio è solo fonte di confusione, incognite e grane. E siamo solo all’inizio.

 

Luigi Oliveri

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