Riforma PA? Inutile per il Pil, buona solo per politicizzare la dirigenza

Luigi Oliveri 01/09/14
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Serve certamente la riforma della “burocrazia” per rilanciare il Paese. Ma, con la conferma che l’Italia è di nuovo in recessione, nessuna autocritica sulla circostanza che le iniziative delle “riforme epocali” in atto non stanno avendo, né avranno, effetto benefico alcuno.

Una pubblica amministrazione riformata, efficiente e d’aiuto alla crescita dovrebbe avere poche ma chiare caratteristiche:

a)                           potere fare investimenti; invece, le assurde regole del patto di stabilità hanno abbattuto drasticamente questo tipo di spesa, condannando il Pil alla recessione e il Paese ad infrastrutture, anche telematiche, che definire obsolete è eufemistico;

b)                          ridurre drasticamente numero e peso delle regole formali (leggi, decreti, regolamenti) per lasciare spazio, invece, alla gestione concreta, anche tramite accordi di natura privatistica; invece, il diluvio di norme prosegue, peggiorato negli ultimi anni anche dal proliferare delle Authority, che hanno aggiunto le loro delibere, i loro pareri, le loro Faq, alle grida manzoniane, rendendo impossibile la conoscibilità, la trasparenza, ingessando totalmente l’attività degli uffici;

c)                           dare spazio ai dirigenti ed agli uffici di cogliere i risultati: è la conseguenza simmetrica di quanto al precedente punto. La quantità spaventosa di regole non consentono, se non nei convegni o negli articoli di giornale o nelle consulenze inutilmente pagate a peso d’oro, di avere la gestione “per risultati” e non attenta solo allo schivare le responsabilità. Che senso ha, per esempio, aver dato alle amministrazioni l’autonomia sulla contrattazione se, poi, ogni virgola è soggetta al controllo anche a distanza di 10 anni della Ragioneria generale dello Stato ed alla giurisdizione della Corte dei conti, prescindendo totalmente da valutazioni di utilità, anche ai fini della tenuta delle relazioni sindacali? Che senso ha misurare l’efficienza solo in termini di tempi e non in limitazione del contenzioso o di accordi e protocolli con le categorie rappresentative degli interlocutori? Che senso ha imporre l’acquisizione d’ufficio dei certificati, impedendo ai cittadini che per altra via ne dispongano di consegnarli comunque, se ciò possa abbreviare le istruttorie? E gli esempi potrebbero proliferare;

d)                          sostituire ad un’amministrazione che autorizza e controlla prima dell’avvio delle attività di interesse dei privati, un’amministrazione che dà consulenza prima, acquisisce le comunicazioni di inizio attività e poi effettua i controlli, ma senza il termine ridicolo di 60 giorni oggi vigente e permettere, ma fissare obbligazioni precise in relazione agli esiti delle consulenze preventive, se effettuate, attribuendo responsabilità ai dirigenti ed agli uffici che a seguito dei controlli ripensino impropriamente a negoziazioni concesse in precedenza. In questo modo si otterrebbe da subito l’eliminazione di ogni “pastoia”;

e)                           semplificare i processi, a partire, però, non da regole sui magistrati, ma letteralmente spazzando via i codici di procedura. Perché il processo amministrativo può essere regolato con poco più di un centinaio di articoli, mentre quello civile e penale sono un ginepraio di norme, normette, cavilli e codicilli appositamente pensati proprio per consentire alla “parte forte” del processo di schivare l’azione, prendere tempo, mirare invece che alla questione sostanziale a quella formale? Sono in primo luogo i codici vigenti lo strumento principale della denegata giustizia;

f)                           eliminare ogni proliferazione di tasse e balzelli. La vicenda Ici-Imu-Iuc-Tari-Tasi dimostra come il legislatore non sia capace di fare la prima ed essenziale riforma delle imposte: ridurne il numero. Come è possibile che non si riesca ad avere, come per le transazione l’Iva, una sola tassa per il reddito, una sola nazionale sul patrimonio, una sola locale per i servizi e la casa? I moduli precompilati, ma da confermare pena sanzioni, sono solo fumo negli occhi, dannosissimo.

Le idee potrebbero essere molte altre. Ma, se analizziamo il d.l. 90/2014 convertito nella legge 303/2014, nonché il testo del disegno di legge delega della riforma della PA, di tutto questo non v’è la minima traccia.

Si propaganda per grande e rivoluzionaria riforma della PA, quella riforma che dovrebbe concorrere al rilancio dell’economia in recessione, una serie di norme che:

a)                           tra facoltà di pensionare i dipendenti a 62 anni, se con l’anzianità di 42 anni e 6 mesi da legge Fornero, eliminazione del trattenimento in servizio è in grado di garantire pochissime migliaia di posti di lavoro sbloccati  che vi sarebbero stati lo stesso (ma in tempi leggermente più lunghi), spacciando il tutto per “staffetta generazionale”; ma, ai fini della lotta alla recessione, a cosa serve immettere pochissime migliaia di personale pubblico, su una platea di 3,1 milioni?;

b)                          riducono da 8 a 3 le sedi staccate dei Tar; e allora? E’ per le sedi staccate che siamo in recessione?

c)                           ampliano al 30% la percentuale dei dirigenti che possono essere cooptati senza concorso, ma per chiamata “fiduciaria” dai sindaci negli enti locali; ma che incidenza ha una simile estensione della politicizzazione della dirigenza nella lotta alla recessione?;

d)                          consentono sempre ai sindaci di incaricare i portaborse (pardon: componenti dello staff) retribuendoli come dirigenti anche se non laureati, contribuendo così a risolvere la grana giudiziaria del premier, condannato in primo grado dalla Corte dei conti per aver assunto personale di staff quand’era presidente della provincia, privo di laurea ma inquadrati come funzionari; che benefici comporta, tutto ciò, all’economia?;

e)                           prevedono una mobilità obbligatoria entro 50 chilometri. Un modo per far credere che lo Stato è Marchionne, tenere sotto scatto i dipendenti creando solo disagi e “ammuina”, quando il vero problema è la pessima distribuzione dei dipendenti pubblici per aree geografiche, nord-sud. Una mobilità obbligatoria veramente utile ed efficiente prevederebbe 500 chilometri, altro che 50. E, tutto ciò, sulla recessione cosa comporta?

f)                           e l’eliminazione dei diritti di rogito per i segretari comunali (con qualifica dirigenziale)? E l’abolizione dei segretari comunali? E l’eliminazione degli incentivi per i progettisti, che causerà la proliferazione di incarichi esterni molto più costosi? Queste previsioni, per la lotta alla recessione, che effetto hanno?

Anche in questo caso l’elenco potrebbe continuare. La riforma della PA attivata dal premier Renzi e dal Ministro della pubblica amministrazione Madia ha un’efficacia totalmente nulla sia rispetto ai veri problemi di produttività e sburocratizzazione, sia rispetto agli effetti positivi per l’economia che un’amministrazione efficiente potrebbe avere, semplicemente perché è una riformetta che non riforma nulla, ma amplia lo spoil system e consente ai partiti di assicurare posti pubblici ai propri funzionari o aficionados. Tutto serve, per durare 1000 giorni e più, no?

 

Luigi Oliveri

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