Stretta sulle convenzioni per servizi di consulenza tra enti pubblici

Dario Di Maria 12/08/14
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Da più parti si profila una stretta sulla possibilità per una Pubblica Amministrazione di stipulare convenzioni con un’altra P.A. al fine di usufruire di servizi di consulenza resi da professionisti (avvocato, ingegnere, medico, ecc….) dipendenti della stessa.

Tale cambio di direzione si evidenzia da ultimo nella sentenza della Corte dei Conti Regione Campania n. 638 del 24/06/2014, e nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3130 del 23/06/2014.

Giova premettere che alcuni Contratti Collettivi (es. Sanità, Ministeri) e alcune normative di settore (Avvocatura dello Stato, Università, ecc…) prevedono la possiblità di stipulare convenzioni tra pubbliche amministrazioni, per fruire di “consulenze” di dipendenti, prevedendo che il compenso pagato all’ente venga poi retrocesso, a volte quasi interamente (si arriva fino al 95%), al dipendente che ha prestato consulenza. Il tutto avviene senza un avviso pubblico (poichè l’accordo è tra due P.A.) e il costo non rientra tra quelli qualificati come consulenze ex art. 7 d.lgs. 165/2001.

La sentenza che si commenta qui oggi è della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale della Regione Campania (n. 638 del 24/06/2014), e riguarda una convenzione stipulata tra un’Avvocatura Distrettuale dello Stato e un Commissario nominato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per fruire della consulenza di due avvocati dello Stato.

In sintesi: per la soluzione dei problemi insorti nell’esecuzione dell’appalto, il Commissariato Governativo domandava a più riprese all’ Avvocatura Distrettuale dello Stato di voler partecipare alle riunioni dell’istituito “tavolo tecnico – legale” e, in questo contesto, veniva richiesta la consulenza “in via breve” di due avvocati dello Stato.

La procura presso la Corte dei Conti, ricordando che l’Avvocatura è tenuta a rendere in favore delle amministrazioni pubbliche sia l’attività di patrocinio giurisdizionale sia le attività di consulenza legale, osserva che l’ambito di estensione della consulenza “in via breve” tende invero a sovrapporsi alle attività istituzionali dell’ Avvocatura dello Stato. Quindi la consulenza “in via breve” – alla quale corrisponde un compenso aggiuntivo a favore dell’Avvocato che la svolge ed un aggravio finanziario per l’ente che la riceve – si pone in termini di eccezionalità rispetto all’assetto ordinario fissato dal Legislatore (sia con riguardo al rapporto tra l’ Avvocatura e le amministrazioni pubbliche, sia con riguardo al trattamento economico dei singoli Avvocati).

Inoltre la Corte dei Conti osserva che non sussiste alcuna ragione plausibile per ritenere che all’atto del conferimento di una consulenza “in via breve” l’ente non debba rispettare le norme e i principi in tema di affidamento di incarichi consulenziali (oggi fissati dall’art.7, comma 6, D.Lgs. n.165/2001). Quindi l’amministrazione interessata è preliminarmente tenuta a verificare se non possa sopperire con il personale a disposizione al disimpegno di compiti diversi da quelli rientranti nel servizio d’istituto e se, nell’ipotesi di ricorso a personale estraneo, non possa avvalersi della collaborazione di altre categorie di esperti in materie giuridico amministrative.

In conclusione, ad avviso del Collegio, l’ Avvocatura dello Stato avrebbe dovuto fornire ausilio alla struttura commissariale ex art.13 R.D. n.1611/1933, con la conseguenza che il costo sopportato per remunerare le consulenze “in via breve” deve essere qualificato pregiudizio erariale nei confronti del Commissariato Governativo.

Un giorno prima pure il Consiglio di Stato (sent. n. 3130 del 23/06/2014) aveva deciso un contenzioso riguardante un incarico di studio e consulenza nella redazione Piano di governo del territorio (P. G. T.), conferito dal Comune di Pavia all’Università degli Studi di Pavia previa selezione riservata ai soli Istituti Universitari.

La Sezione Quinta ha confermato che nell’incarico conferito dal Comune all’Ateneo non emergono i tratti della fattispecie di esonero dalla previa gara con riferimento alla “…cooperazione tra enti pubblici “finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi” A giudizio del Collegio solo una comunanza dell’elemento teleologico tra gli enti pubblici stipulanti può giustificare l’esonero dalla previa gara pubblica

In precedenza, già la sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione) 19 dicembre 2012, (ASL di Lecce e Università del Salento vs. Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce) aveva stabilito che il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.

La conseguente sentenza del Consiglio di Stato, V Sezione, 15 luglio 2013 n.3849 aveva sconfessato l’idea che si possa procedere all’affidamento diretto alle Università dei servizi di progettazione tramite accordi di cooperazione tra enti pubblici, a meno che tale contratto non abbia il fine di garantire l’assolvimento comune di una funzione di servizio pubblico delle amministrazioni.

La sentenza n.2361/2013 del Tar Lombardia, Milano, analogamente ha accolto parzialmente il ricorso del Consiglio Nazionale degli Ingegneri contro un accordo tra il Politecnico di Milano e una serie di Comuni, per lo svolgimento di attività di progettazione.

Quindi, sotto l’aspetto della tutela della concorrenza e del rispetto della direttiva europea in tema di appalti, le sentenze della Corte di Giustizia Europea e del Consiglio di Stato sembrano andare in una sola direzione in modo abbastanza deciso.

La sentenza della Corte dei Conti della Campania, è giunta alle medesime conclusioni, ma sotto il diverso profilo del danno erariale.

La differenza del rapporto professionisti pubblici/privati nei vari settori, però, può essere determinante.

Infatti tutte le pronuncie citate della Corte di Giustizia Europea e del Consiglio di Stato traggono origine da ricorsi presentati dai Consigli locali dell’Ordine degli Ingegneri, al fine di poter partecipare alle gare per l’acquisizione di servizi di progettazione delle varie P.A.

Diversa, però, è la situazione nel settore sanitario, poichè la pressocchè totalità dei medici è dipendente o convenzionato con il Servizio Sanitario, quindi non vi è nessun interesse a richiedere un’apertura ai professionisti privati nell’acquisto di prestazioni e/o consulenze.

Infatti in altri contesti dove in numero maggiore sono i professionisti privati, per esempio San Marino, le legge sulla libera professione dei professionisti dipendenti del Servizio Sanitario pubblico è entrata in vigore solo nel 2013 (con numerose differenze rispetto a quella italiana), ma proprio l’Ordine dei Medici, dei veterinari professionisti e la Commissione Nazionale delle libere professioni hanno espresso totale disaccordo, poichè la legge (hanno affermato in un comunicato) favorirebbe la disuguaglianza e il conflitto di interesse, creando ultreriori privilegi per la Pubblica Amministrazione.

In ultimo si cita pure la posizione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP, parere n. 20 del 23/04/2014) che ha ribadito l’importanza del requisito dell’“interesse comune”, ed in particolare:

lo scopo dell’accordo deve essere rivolto a realizzare un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che hanno l’obbligo di perseguirlo come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti;

alla base dell’accordo deve rinvenirsi una reale divisione di compiti e responsabilità;

i movimenti finanziari tra i soggetti devono configurarsi come mero ristoro delle spese sostenute, dovendosi escludere la sussistenza di un corrispettivo per i servizi resi;

Quindi è evidente l’esigenza di rivedere la normativa e la prassi di richiedere attività di consulenza mediante convenzioni tra diverse aziende sanitarie e/o tra diversi enti pubblici, alla luce dei principi europei in tema di appalti, del principio dell’omnicomprensività della retribuzione, e dei principi in tema di conferimento di incarichi di collaborazione e consulenza.

Dario Di Maria

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