Tassa sul telefonino? Respinte le pretese dell’Agenzia delle Entrate

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Ogni tanto, qualche commissione tributaria emette una  sentenza non solo coraggiosa, ma anche di buon senso comune.
Questa volta è il turno della commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia. L’Agenzia delle entrate pretendeva da un cittadino il pagamento dell’imponente somma di 146 euro a titolo di tassa di concessione governativa sul possesso del telefono cellulare. Ma, il colmo della vicenda consiste nel fatto che il contratto con il gestore della telefonia era stato disdetto sei mesi prima di ricevere l’addebito.

Il presente articolo è firmato dall’autore del volume “Guida operativa al processo tributario” (Maggioli, 2014)

A fronte della pretesa, l’interessato aveva presentato tutti i documenti che comprovavano il fatto che l’importo preteso non era dovuto.

Ma tutto si è rivelato invano. E la strada del ricorso doveva essere percorsa soprattutto per ragioni di principio, anche perché, dopo una richiesta di autotutela persasi nelle nebbie della burocrazia, anche la procedura di reclamo-mediazione, di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, era stata avviata, ma invano.

In base al buon senso comune, che dovrebbe, sempre essere tenuto presente, la Commissione tributaria reggiana ha non solo accolto il ricorso del contribuente ma ha anche condannato l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese processuali, il cui importo è stato determinato in 750 euro.

Ne valeva la pena?
Certamente. La risposta è ovvia.

Ma resta da chiedersi quale sia stata la ragione che ha determinato la scelta dell’ufficio impositore, dapprima, a negare l’istanza di autotutela e, successivamente, ad annullare l’atto impositivo nella procedura precontenziosa prevista dall’art. 17-bis citato. Forse, aveva prevalso il desiderio di voler incamerare, comunque, i trenta euro di contributo unificato e di sperare di incassare i 146 euro sperando che il contribuente si fosse insabbiato nella spada di Damocle della procedura, assai tecnica, del processo tributario che prende avvio con il deposito del fascicolo presso la segreteria della commissione tributaria, e delle complesse regole procedurali.
Ecco, il buon senso: quando è accertata la regolarità del contribuente (che, assai spesso è identificato come “evasore”) l’archiviazione della pratica dovrebbe essere ovvia.
Ora, l’Agenzia delle entrate dovrà rifondere l’interessato. Anche chi è piccolo (e sprovveduto rispetto alle, spesso, contorte pratiche della burocrazia), a volte, può vincere la sua piccola , ma emotivamente grande, battaglia contro una pretesa ingiusta.

 

Sergio Mogorovich

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