La comunicazione pubblica in Italia: dalla Costituzione al cittadino

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In Italia il Novecento ha rappresentato dal punto di vista politico e sociale il secolo del cambiamento e della messa in discussione di tutto ciò che era stato fino a quel periodo, a partire da questa nuova prospettiva si è osservato il progressivo avanzamento della comunicazione pubblica come strumento di messa in circolo di idee, informazioni e valori che potevano essere liberamente scambiati tra lo Stato e la società.

Il presente articolo segue la precedente pubblicazione: La comunicazione istituzionale nella PA

Con la Costituzione, legge fondamentale dello Stato entrata in vigore nel 1948, si è creata una condizione di apertura verso qualcosa di nuovo e di maggiore vicinanza tra lo Stato e i cittadini, con inevitabili ripercussioni in tutti i settori della vita personale e sociale degli italiani.

Come riporta l’articolo n. 2 della Costituzione la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; pertanto si designa un generale mutamento del concetto di individuo in quanto essere umano dotato di capacità fisiche ed intellettive e di valori mediante i quali esso stesso potrà instaurare un legame con lo Stato e, per fare tutto questo, ciò che serve è proprio una corretta comunicazione.

Inizialmente a livello istituzionale si attivò una tipologia di comunicazione non propriamente effettiva, poiché si agiva mediante delega e questo meccanismo venne inteso come una sorta di rinuncia da parte delle istituzioni ad una partecipazione attiva al processo comunicativo, successivamente avverrà un consolidamento di legittimazione che permetterà la concreta presenza dello Stato quale protagonista insieme ai cittadini della comunicazione istituzionale e di pubblica utilità.

La realtà italiana appariva comunque sempre piuttosto controversa: da una parte il paese sembrava essere pronto ad accettare i cambiamenti che inevitabilmente, con lo sviluppo economico e sociale, riguardarono tutti gli ambiti della vita sia istituzionale che pubblica, da un’altra parte, però, sembrava esserci qualcosa che riportava ad una visione conservatrice e quindi una resistenza sia interna che esterna di fronte ai cambiamenti, che scaturiva dall’incapacità del sistema di accettare le evoluzioni e dello Stato che si mostrava poco efficiente sotto alcuni punti di vista.

Da una parte la comunicazione pubblica aveva come punto centrale lo sviluppo di varie normative che consentivano la legittimazione delle funzioni professionali e la costituzionalizzazione del diritto all’informazione, d’altra parte però i fattori che frenavano la crescita di questo tipo di comunicazione erano la stessa riforma istituzionale e la lenta crescita del modello culturale e organizzativo della pubblica amministrazione, il quale risultava basato più sulle competenze che sulle funzioni e pertanto maggiormente orientato al fiduciarismo che alle autonomie professionali.

Fattori determinanti per il cambiamento, a partire dai primi anni Novanta, furono, innanzitutto l’entrata in vigore di alcune leggi, quali la legge 142/90 sull’ordinamento delle autonomie locali e la legge 241/90 sul procedimento e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi; queste normative aprirono una fase di riforma all’interno della pubblica amministrazione e si evidenziò una progressiva crescita della cultura della comunicazione e della legittimazione dell’attività che derivava dall’affermazione dei diritti e doveri dell’individuo all’interno della società.

La comunicazione si affermava in questo scenario innovativo quale presupposto fondamentale per il cambiamento del legame che si instaurava tra la pubblica amministrazione ed il cittadino.

Clementina Rosina

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