Pensionati, scordatevi gli 80 euro di Renzi. Interventi sull’Irpef

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Si torna a parlare dei famosi 80 euro in busta paga di Matteo Renzi. In che modo verranno riconosciuti? Sono davvero confermati? Da dove saranno presi i soldi necessari a mantenere al promessa?

Dopo gli annunci di due settimane fa, i riflettori si sono un po’ spenti sul piano economia del governo: il Jobs Act – la parte relativa al decreto legge – è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed è già in vigore dallo scorso venerdì 21 marzo, mentre sul fronte degli incrementi di salario, ancora sembrano non esserci certezze.

A diradare un po’ di nebbia ci ha provato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, cercando di tradurre in interventi operativi i proclami del presidente del Consiglio, che tanto hanno fatto discutere nei giorni scorsi.

Così, sembra che, al posto di un bonus in busta paga, si cercherà di battere la pista delle detrazioni Irpef: “Rimaniamo convinti di intervenire sull’Irpef e sulle detrazioni da lavoro dipendente”.

Insomma, il successore di Enrico Giovannini ha confermato che l’intervento sugli stipendi per tutti coloro che guadagnano meno di 1500 euro al mese terrà fede alla promessa del premier, ma senza caricare il bonus direttamente sui salari dei lavoratori, ma intervenendo sul carico fiscale.

Allo stesso modo, il ministro ha ribadito che i pensionati non verranno inclusi nella distribuzione dei bonus, poiché “se avessimo spalmato i benefici su una platea più larga avremmo finito per parlare di 10 euro, come in passato e questo avrebbe avuto effetti sull’economia”.

Riguardo, invece, le misure del Jobs Act, che hanno cambiato radicalmente il rapporto tra datore di lavoro e precari a tempo determinato, con l’aumento delle possibilità di prorogare i contratti – pur rimanendo nel limite dei tre anni – Poletti ha osservato che “il jobs act creerà occupazione perché è meglio avere persone che hanno la proroga del contratto per tutti i 36 mesi. Alla fine l’impresa, se sarà contenta, stabilizzerà il lavoratore. Se invece sono sei persone diverse con un contratto di sei mesi è più difficile che un lavoratore resti in azienda”.

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Francesco Maltoni

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