Finché c’è curriculum c’è speranza

Giuseppe Vella 13/03/14
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Può il curriculum vitae essere considerato la panacea della chiarezza dell’azione amministrativa in un paese dove esiste una legge, eufemisticamente denominata “della trasparenza amministrativa”, che al comma 3 dell’articolo 24 riporta:

Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.

Senza alcuno spunto polemico; perché chi gestisce, spende ed a volte sperpera i soldi dei cittadini non deve essere soggetto ad alcun controllo, generalizzato o mirato che sia?

Senza voler essere offensivo e provocatorio, oggi, nonostante il dlgs 33/2013, non si riesce a leggere con chiarezza un bilancio pubblico, non vengono pubblicati gli impegni assunti dagli amministratori sui derivati tossici che ipotecheranno il bilancio pubblico per i prossimi venti anni, non si riesce a fare una ricerca degli atti dei dirigenti ne si riesce a sapere a quanto ammonta il loro CUD e gli obiettivi che spesso da soli si assegnano.

Con queste premesse una pletora di pubblici funzionari, in maniera del tutto acritica, ha fatto la corsa a pubblicare il proprio curriculum.

Il sindacato ovviamente è stato a guardare.

Curriculum vitae tradotto dal latino significa corso della vita, è un documento redatto al fine di presentare la situazione personale, scolastica e lavorativa di una persona.

Detto curriculum vitae è infatti la prima fonte informativa in base alla quale un datore di lavoro o un selezionatore decide se è interessato ad esaminare un candidato per valutarne l’assunzione.

Dunque, il curriculum vitae è redatto dall’interessato per presentare se stesso, descrivendo quelle che il soggetto presume siano le sue capacità e competenze personali, relazionali, organizzative, tecniche, e, quando ci sono, artistiche.

In alcuni curriculum è dato leggere: “è capace di lavorare in situazioni di stress”, circostanze che difficilmente si realizzeranno nel pubblico impiego; “sono in grado di organizzarmi il lavoro”, risultato difficile da verificare; “comunico in modo chiaro e preciso in pubblico”, autodefinizione di oratore; “conoscenza delle lingue acquisite nel corso della vita e della carriera ma non necessariamente riconosciute da certificati e diplomi ufficiali”, è come saper fare le siringhe senza aver fatto la scuola da infermiere.

In altri è la fantasia a prevalere: “ottimo pizzaiolo dilettante”, “collezionista di farfalle”.

Qualcuno, in modo ammiccante vuol fa conoscere le proprie preferenze: “dotato di patente nautica, ama la vita in mare”, “interessato a tutte le innovazioni tecnologiche”, “provetto fotografo”, “collezionista di francobolli e monete antiche”.

Ci sarebbe da scrivere un libro “Orgoglio e presunzione” visto che “la fiera della vanità” è stato già scritto.

Dice la legge 69/2009 art.21 comma 1: Ciascuna delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ha l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti e dei segretari comunali e provinciali nonché di rendere pubblici, con lo stesso mezzo, i tassi di assenza e di maggiore presenza del personale distinti per uffici di livello dirigenziale.

La domanda che sembra legittimo porsi è: può, la trasparenza amministrativa sintetizzarsi nella esposizione del curriculum vitae, redatto dall’interessato, e obbligatoriamente esposto sui siti internet della pubblica amministrazione per far conoscere al cittadino le notizie riguardanti politici, amministratori e dirigenti?

Chi controlla la rispondenza delle notizie esposte dal soggetto con i documenti in possesso dalla pubblica amministrazione?

E’ mai stato fatto un controllo?

Le furbate:

  • la prima è messa in atto da alcune amministrazioni, non pubblicare lo stipendio annuale dei dirigenti ma solo gli stipendi tabellari in godimento dalla categoria ed, a parte, una media di quanto gli stessi ricevono per il raggiungimento degli obiettivi che solo gli addetti ai lavori sanno cercare e leggere, nulla si dice degli incarichi aggiuntivi;

  • la seconda, allargare la pubblicazione dei curriculum anche ai funzionari, quasi a voler confondere le idee con l’esposizione di un elevato numero degli stessi, ma senza pubblicarne lo stipendio, facendo pensare così che vi è proporzione tra l’incasso di un dirigente e lo stipendio di un funzionario.

Si racconta, ma si stenta a crederci, che in origine, quando una ventata di novità aprì uno spiraglio nel buio del ministero della Funzione Pubblica, la decisione era di pubblicare il foglio di servizio dei dirigenti.

Le notizie da pubblicare erano: la data di assunzione ed il relativo bando di concorso, i documenti presentati in fase di assunzione, tra cui il titolo di studio, e le eventuali esperienze pregresse documentate, la conoscenza delle lingue straniere, gli aggiornamenti a cui aveva partecipato e le eventuali competenze informatiche.

Sembra che, nonostante in Italia al pubblico impiego ci si dovrebbe accedere per concorso, la percentuale di quelli che hanno bypassato la pubblica selezione è elevata, particolarmente in alto loco e che qualche pezzo da novanta della dirigenza pubblica non ha nemmeno il titolo per accedervi.

Molti cominciarono a chiedersi: che fare?

Si sa che l’italica intraprendenza, associata ad una singolare fantasia, serve proprio nei momenti di forte dubbio.

Non potendo la Pubblica Amministrazione dichiarare il falso, si decise di sostituire il foglio di servizio, sottoscritto ed autenticato dalla PA, con il curriculum vitae, redatto dall’interessato e con sua assunzione di responsabilità.

Chi ha partecipato a pubbliche selezioni, risultando anche idoneo, lo scrive, chi no si astiene dal farlo e siamo tutti felici e contenti.

La trasparenza all’italiana è salvaguardata.

Chi possiede il titolo lo espone, spesso senza dire dove e quando lo ha conseguito, chi non lo possiede tace e qualcuno se lo inventa, tanto viviamo in epoca di scuole che danno un “aiutino” al conseguimento titoli, di università private compiacenti e di università pubbliche che stando sull’orlo della continua bancarotta ammorbidiscono le loro pretese formative.

Da noi i politici che hanno copiato un capitolo della tesi non si dimettono, anzi, se scoperti utilizzano la cosa per diventare ministri e, magari a loro insaputa, qualcuno inserirà la nomina e la prodezza, nel curriculum vitae del soggetto.

In Parlamento, si dice, che ci siano numerosi deputati e senatori attenzionati da inchieste giudiziarie.

I rinvii a giudizio fanno curriculum?

Secondo la logica italica dovrebbero, però nessuno li espone.

Gli insuccessi di un chirurgo, leggi i morti sotto i ferri, nessuno li riporta nel curriculum.

Gli errori giudiziari degli stessi giudici, le sentenze palesemente sbagliate, non rientrano nelle cose da pubblicare.

Il risultato.

E’ nata una nuova attività: il redattore e/o correttore di curriculum.

I commerciali delle ditte si rivolgono a psicologi per far analizzare, attraverso il curriculum esposto, la personalità dei dirigenti prima di visitarli.

Agli italiani non sembra interessare quali funzioni ha ricoperto chi dirige un certo ufficio, se ha raggiunto i suoi obiettivi, se questi hanno avuto ricaduta benefica sui cittadini, quanto, questi obiettivi, sono costati alla collettività e quanto hanno fatto risparmiare alla stessa, ma un voyeurismo patologico sembra essersi impossessato delle persone e la conoscenza degli hobby e/o dei titoli del soggetto sembra prevalere sui trascorsi, sulle competenze e sui risultati conseguiti.

Che dire?

Giuseppe Vella

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