Caso Torreggiani e la soluzione all’italiana: i provvedimenti per evitare la condanna

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Manca poco ormai alla scadenza del termine entro cui l’Italia è stata chiamata ad eseguire quanto stabilito dalla sentenza-pilota della Corte EDU Torreggiani e altri c. Italia, e cioè a “istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario”. L’appuntamento è fissato per il 28 maggio.

Com’è ben noto, la Seconda Sezione della Corte di Strasburgo, in data 8 gennaio 2013, ha condannato il nostro Paese a risarcire i sette ricorrenti per il trattamento disumano e degradante subito durante la permanenza negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza. Nella sentenza è trattato il problema del sovraffollamento.

In particolare, nel testo della sentenza i giudici europei parlano di “sovraffollamento grave” per indicare quelle situazioni nelle quali il detenuto viene privato dello spazio vitale necessario, che non può essere inferiore a 3 mq. Un recente studio ha stabilito che lo spazio che ciascun detenuto ha a disposizione nelle carceri italiane è di circa 2,7 mq. Non una decisione positiva, dunque, che costringe il nostro Paese a dotarsi di misure idonee a eliminare il problema del sovraffollamento carcerario entro un anno dal giorno in cui la sentenza Torreggiani è passata in giudicato (essì, perché il Governo ha impugnato la decisione ma il ricorso non è stato accolto dalla Grande Camera).

Cosa rischiamo? Il 28 maggio verrà ad essere revocata la sospensione per i 3000 ricorsi già presentati aventi ad oggetto le stesse richieste della sentenza Torreggiani. In più, potranno essere presentati ulteriori ricorsi con la conseguenza che il nostro Paese, se condannato (com’è certo), dovrà risarcire anche gli ulteriori ricorrenti. E se pensiamo al numero dei nostri detenuti (circa 67.000) e a quanto hanno ottenuto a titolo di risarcimento i sette ricorrenti della sentenza in esame (dai 10 ai 20.000 euro), è chiaro a tutti che non basterebbe tassare l’aria per avere i soldi necessari per risarcire tutti. Parliamo dunque di una somma ingente e di un problema concreto che necessita di soluzioni tempestive.

In questi mesi ne abbiamo viste davvero tante. Particolarmente discusso è stato il messaggio alle Camere del Presidente (della Repubblica?) Giorgio Napolitano, che ha invitato il Parlamento ad farsi carico di una legge di amnistia e indulto che riducesse istantaneamente il numero dei detenuti. Provvedimenti che, come si sa, richiedono numeri in Parlamento non di poco conto, che nessun partito o coalizione può contare oggi.

Mi vorrei soffermare su questo punto per due motivi: da una parte, non ritengo pienamente legittimo che un Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, si arroghi il potere di rivolgere “ordini” all’organo titolare del potere legislativo, l’organo che rappresenta, o dovrebbe rappresentare, il popolo e incarnare la sovranità popolare; dall’altra parte, la esplicita richiesta di leggi di amnistia e indulto, i cui effetti sono noti a tutti, non mi pare essere la soluzione migliore al caso in esame. Un indulto come quello del 2006 non risolve il problema del sovraffollamento, semmai rinvia la sua risoluzione ad un tempo successivo (già nel 2010 vi erano 67.961 persone detenute nelle 206 carceri italiane, per una capienza massima di 45.000 persone, con un tasso di sovraffollamento del 151%).

Non dimentichiamo che questi provvedimenti sono stati definiti da non pochi esponenti della dottrina penalistica il cancro dell’ordinamento penale. Secondo diversi autori, un sistema efficiente non abbisogna di provvedimenti di questo tipo. Risulta quanto mai contraddittorio prevedere delle sanzioni se queste non sono applicate in modo completo. A pagarne le conseguenza è solo la credibilità dello Stato e del suo ordinamento sanzionatorio.

Di amnistia e indulto se n’è parlato per pochi mesi, da ottobre a novembre, dopodiché anche questa soluzione è naufragata. Di cambiare il codice penale e il diritto penale sostanziale in generale neanche se ne parla più, nonostante le incessanti richieste provenienti dai vari praticanti del diritto e dall’opinione pubblica. Le grandi riforme sostanziali non sono più prodotte dal Parlamento ma dalla magistratura. Di fondamentale importanza è la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge c.d. Fini-Giovanardi, che equiparava le droghe leggere a quelle pesanti, con un aggravamento delle pene previste per i reati di uso e spaccio di queste sostanze. Con la dichiarazione di incostituzionalità si sono aperti migliaia di incidenti di esecuzione, con l’effetto di congestionare ulteriormente l’attività dei tribunali e dei magistrati.

Non rimane che occuparsi di un altro profilo del diritto penale, ovvero quello sanzionatorio. Se il problema è l’eccessivo numero di detenuti, non resta che diminuire la permanenza in carcere.

In questa direzione sembra si sia mosso il nostro legislatore con il recente decreto svuota-carceri, n. 146/2013, convertito in legge lo scorso mese, che aumenta lo sconto di pena concesso per ogni semestre (da 45 a 75 giorni) e soprattutto dispone un utilizzo del braccialetto elettronico più frequente. Da pena alternativa eccezionale, il braccialetto diventa uno strumento ordinario.

Ci tengo a ricordare che le applicazioni fino ad oggi di questo dispositivo sono state molto limitate (una decina di casi) nonostante l’ingente quantitativo di denaro pubblico speso per il loro utilizzo,parliamo di circa 80 milioni solo per i prossimi 10 anni, che sono finiti in gran parte nelle tasche della società Telecom Italia, grazie ad un accordo sottoscritto dall’ex ministro Annamaria Cancellieri, finito in un recente scandalo. Ma questa è un’altra storia!

Lorenzo Pispero

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